Luigi, lettera dal carcere: «libertà significa emancipazione dallo sfruttamento e dal dominio, continuiamo a lottare»

Luigi, lettera dal carcere: «libertà significa emancipazione dallo sfruttamento e dal dominio, continuiamo a lottare»

Ciao a tutte e tutti.

Quando ho saputo che vi sareste riuniti ai cantieri culturali alla Zisa per un’iniziativa di solidarietà nei miei confronti e nei confronti delle mie compagne e compagni, oltre che per il dibattito sul tema della repressione delle lotte, ho pensato di scrivere queste righe per poter, da qui, dare il mio contributo alla discussione. Non tanto per esporre la mia vicenda giudiziaria personale, (so che a questo ci penserà il mio amico e avvocato di fiducia Giorgio Bisagna che saprà sicuramente farlo meglio di me) quanto per inquadrarla nel più ampio processo di svolta securitaria che questo governo sta conducendo a partire dal disegno di legge sulla sicurezza attualmente in discussione alla Camera.

Ritengo, infatti, che il nostro caso come tante altre vicende repressive portate in essere nei confronti di realtà politiche e singoli militanti in lotta, studenti e studentesse, in questi mesi impegnati contro l’entità sionista in sostegno della lotta del popolo palestinese, vada letto e inquadrato all’interno di un più ampio progetto governativo del gettare le basi giuridiche per meglio controllare e ostacolare i movimenti di lotta e ogni forma di dissenso da ora in avanti.

Un disegno di legge sulla scia dei precedenti, ma che segna un cambio di passo in tema di inasprimento delle pene spostando l’attenzione dal cosiddetto “decoro urbano” alla repressione della libertà politica su tutti i fronti. Ciò anche al fine di proteggere il piano di austerità già in atto, tipico delle politiche di guerra. 

A partire dall’articolo 20 del decreto legislativo che amplia, di fatto, i poteri delle forze di polizia che potranno non solo utilizzare le armi di cui dispongono anche fuori servizio e a titolo personale, ma potranno anche valutare autonomamente se una situazione di piazza o un movimento sia turbativo dell’ordine pubblico e se sia il caso di utilizzare di conseguenza tali armi.

Questo sarebbe ovviamente il lasciapassare per un aumento esponenziale di abusi e atti repressivi ma non solo: deresponsabilizzerebbe governi e prefetture caricando la decisione e di conseguenza le responsabilità che ne derivano sugli agenti di polizia e i dirigenti di piazza. Tanti tra loro esulteranno se dovesse passare il Ddl, bramando questo potere; piangeranno poi quando al primo errore verranno lasciati soli e additati come unici responsabili (vedi la vicenda degli agenti di polizia penitenziaria coinvolti all’indagine degli abusi nel carcere di Milano). Poi c’è l’articolo 634 che esaspera la difesa della proprietà privata, che diventa sempre più un feticcio da tutelare a tutti i costi anteponendolo ai bisogni sociali come il diritto all’abitare. Secondo questo articolo gli occupanti di immobili rischierebbero fino a 7 anni di reclusione: un chiaro attacco ai tanti movimenti di lotta per il diritto all’abitare ed agli strati più disagiati della popolazione.

Per non parlare poi dell’emendamento presentato dal deputato della Lega Igor Lezzi, che propone l’inserimento di una nuova aggravante per reati contro la pubblica incolumità, ritagliato di proposito per chi da anni protesta contro le grandi opere a partire dal ponte sullo stretto. La Lega propone in pratica un nuovo comma dell’articolo 339 del codice penale che elenca le aggravanti dei reati di resistenza, violenza e minaccia ai corpi dello Stato. L’aggravante introdotta dall’emendamento sarebbe la seguente: “se la violenza o minaccia è commessa al fine di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di un’infrastruttura strategica la pena è aumentata da un terzo a due terzi”.

In sostanza chi protesta in più di dieci persone contro un’opera pubblica, con manifestazioni che verranno considerate minacciose, rischierà fino a 25 anni di carcere. Sembra fatto su misura contro i picchetti che vorrebbero ostacolare la realizzazione dei cantieri del ponte. Ancora un’altra proposta di emendamento mira a considerare responsabili del reato di violenza privata i lavoratori in sciopero che mettono in atto dei picchetti davanti al luogo di lavoro per ostacolare l’ingresso dei “crumiri” (nessuna aggravante ovviamente per chi, al soldo dei padroni, armato di tutto punto aggredisce gli operai in sciopero, come è avvenuto più volte nel comparto della logistica).

Un altro punto riguarda le cosiddette misure di contrasto al terrorismo, attraverso l’introduzione dell’articolo 270 ter che punisce per terrorismo non solo chi commette effettivamente atti ritenuti di tale natura, ma addirittura anche chi detiene o distribuisce materiale documentale riconducibile a organizzazioni definite terroristiche, aprendo un’ampia discrezionalità sui casi: si potrebbero infatti possedere certi materiali per motivi di studio (vedi il caso Persichetti) o averli ricevuti senza badare al contenuto, o semplicemente averli scaricati per curiosità o interesse intellettuale.

Infine dopo aver aumentato le tipologie di reato, le pene e quindi anche il sovraffollamento, il Ddl inserisce anche il reato di rivolta penitenziaria previsto dall’articolo 18. Le carceri dovranno diventare luoghi sempre più invivibili e dovranno essere governate con rigore e disciplina, prevedendo un maggiore livello di militarizzazione. Continuare a lottare anche dopo essere stati arrestati viene considerato dallo Stato il più grave degli affronti da punire e reprimere con ogni mezzo.

Dobbiamo dire che le hanno previste proprio tutte. La legge altro non è che la cristallizzazione dei rapporti di forza tra le classi e tra i territori, e a proposito dei territori ricordiamo come anche su quel fronte con l’autonomia differenziata stanno spostando i rapporti di forza.

Mentre si discute del Ddl sicurezza assistiamo alle politiche di guerra portate avanti sul fronte esterno dallo Stato Italiano e dall’Europa che direttamente e indirettamente appoggiano, armano e finanziano l’imperialismo statunitense e lo sterminio di civili palestinesi messo in atto dall’entità sionista.

Sul fronte interno una decina di omicidi sul lavoro e suicidi di Stato dentro le galere, centinaia di omicidi in mare a ridosso delle nostre coste, uomini donne e bambini costretti a lasciare le loro terre ridotte in miseria dal colonialismo europeo ed occidentale che da secoli ha sfruttato il continente africano, il Medioriente e parte dell’Asia. Colonialismo di recente portato in auge anche dal governo Meloni che parlando di piano Mattei vuole dar sfogo alle sue politiche estrattiviste e di sfruttamento nei paesi africani.

Uomini e donne che attraversano il Mediterraneo in condizioni di estremo pericolo, da clandestini, per venire a rimpolpare in Europa l’esercito industriale di riserva pronto a rimpiazzare chi non vuole più stare alle nuove regole di ingaggio del rapporto capitale/lavoro, in cui la contrattazione sulla forza-lavoro è sempre più al ribasso. In questi giorni il governo ha scoperto che esistono in Italia il caporalato e lo sfruttamento dei lavoratori, lo stesso Stato italiano che paga un insegnante con 4,60 euro l’ora per far parte della commissione d’esami di maturità proprio in questi giorni e che va a pescare volontari tra gli insegnanti in pensione per rimpiazzare i docenti indisponibili ed offrire le loro prestazioni a tali condizioni. Dicevamo che il governo ha scoperto il caporalato, ha scoperto che esiste non in Sicilia in Puglia o in Calabria, in questi territori considerati da sempre culla dell’inciviltà, ma a due passi dalla capitale, a pochi chilometri dal parlamento, proprio nell’agropontino bonificato da quel Mussolini statista che “ha fatto anche cose buone”. Hanno scoperto che lì ci lavorano pagati meno di 4 euro l’ora a cottimo per 12 ore al giorno centinaia di lavoratori in nero praticamente schiavizzati. Quello che sanno e che non dicono però è che attualmente in Italia in queste condizioni lavorano circa 250000 braccianti e che l’intero comparto produttivo agricolo italiano si regge sullo sfruttamento di questi schiavi. Schiavi nei campi dove spesso, una volta sopravvissuti alla traversata, andranno a morire, amputati, dissanguati, scaricati per strada come rottami. Perché questo sono per i padroni e per il capitale: merci, oggetti, strumenti di accumulazione di plusvalore che una volta non più in grado di assolvere alla loro funzione diventano rifiuti.

Questa è la barbarie del capitalismo, una condizione strutturale e non un’eccezione, attraverso cui siamo già passati quando eravamo noi siciliani i braccianti schiavizzati nel granaio d’ Italia, o costretti ad emigrare per farci sfruttare altrove. 

Ci siamo già passati, e qualcuno ha persino creduto di essersi emancipato dalla condizione di schiavitù perché attraverso qualche riformetta è forse migliorata la propria condizione di sfruttamento o perché, costretti a emigrare per andare a lavorare all’estero si trova impiego nel mondo della ricerca piuttosto che in miniera. O perché nei nostri campi ad essere schiavizzati non ci siamo più noi, ma altri disgraziati di turno venuti da chissà dove.

A situazione invariata abbiamo occupato un gradino più alto nella gerarchia dello sfruttamento e questo ci è stato presentato come sviluppo.

Questa è la barbarie del capitalismo, ma loro continuano a chiamarlo progresso. E chiamano “democrazia” la protezione attraverso il diritto dell’economia di mercato in cui la minoranza dei detentori di ricchezza prospera e la maggioranza della popolazione soffre.

Chiamano “libertà” la possibilità di decidere come e da chi farsi sfruttare.

Bisogna riappropriarsi di questa parola: libertà.

Libertà significa emancipazione dallo sfruttamento e dal dominio e la liberazione è tale se è affrancamento dalla centralità totalitaria della sfera economica, politica e culturale.

Vi ringrazio tantissimo per la solidarietà in questi mesi. Sia io che voi sappiamo che non c’è solidarietà più forte della lotta comune per un mondo migliore. Continuiamo a lottare!

Un saluto a tutte e tutti.

Luigi

 

 

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