Nessuna delega: liberiamo lo Stretto
Il due dicembre a Messina scendono in piazza i cavernicoli, i primitivi. Saranno loro a protestare contro il “progresso” come viene progettato da anni nelle stanze delle società per azioni, dei partiti politici e nelle stanze di molti, moltissimi governi di ogni colore. Sfileranno in piazza contro quello “sviluppo” e quella “modernità” che è ancora una volta cementificazione, consumo di suolo, devastazione del paesaggio e del tessuto economico e sociale dello Stretto.
Ma in piazza a Messina sabato 2 dicembre ci sarà anche chi tenterà maldestramente di ripulirsi la faccia indossando una poco convincente maschera No Ponte in vista delle prossime scadenze elettorali. A questa triste sfilata di malcapitati con il feticismo dei riflettori si opporrà la buona memoria di un intero movimento che ha costruito saperi, pratiche e partecipazione politica dal basso da decenni. Un movimento che sa bene che prima che un progetto o una voce nella legge di bilancio, il Ponte sullo Stretto è il figlio più ingombrante e irrequieto di una precisa ideologia e un preciso modello di sviluppo: la “grande opera”.
Attorno alle grandi opere – e ai conflitti che queste determinano – fermentano opportunismi e strumentalizzazioni di chi cambia bandiera al cambiare degli equilibri elettorali e di partito: è così che chi guardava con favore al ponte come un’imperdibile occasione per uscire dall’arretratezza economica e per creare fantomatici posti di lavoro, oggi pare sbracciarsi contro l’opera con l’obiettivo di conquistare una fetta di torta del consenso dalla parte dell’opposizione.
O viceversa, è sempre per le stesse ragioni che Matteo Salvini, apertamente scettico fino a pochi anni fa, oggi è a tutti gli effetti uno dei più appassionati promotori del Ponte sullo Stretto.
Ci troviamo, quindi, davanti allo stesso motore che spinge oggi quei soggetti politici a tacere di fronte al massacro in corso nei territori occupati da Israele a Gaza, a tacere sui profitti miliardari dell’industria bellica e dello stato italiano sulla guerra, salvo poi parlare di pace e autodeterminazione dei popoli, basta che pace e autodeterminazione sottostiano alle decisioni del mercato e alla volontà di egemonia degli Stati capitalistici, anche a costo di devastare interi territori.
Insomma, le geografie politiche dell’opposizione e del supporto nell’ideologia e nel modello “grande opera” si muovono di certo ad alta velocità – la velocità della strumentalizzazione, della caccia al consenso, della conta dei voti. Il popolo No Ponte invece no, è rimasto lì e non si fa certo ingannare. È rimasto lì nello Stretto, dove è sempre stato, e potrà essere ovunque gli si vorrà dare corpo e voce. È rimasto con forza e gioia nei territori che fa vivere e che difende, costruendo l’indipendenza politica di questa lotta territoriale in barba ai tentativi meschini di tutti gli approfittatori.
Il prossimo 2 dicembre a Messina è un’altra puntata di questa lunga storia fatta di piccoli e grandi passi di riappropriazione, l’unica speranza concreta e possibile per costruire territori liberi e autodeterminati.