Nuove violenze nel carcere di Trapani, vecchia retorica
Sono venticinque gli agenti di polizia penitenziaria accusati a vario titolo e in concorso di tortura e abuso d’autorità nei confronti dei detenuti del carcere Pietro Cerulli di Trapani. Quarantasei indagati di cui 11 posti agli arresti domiciliari e 14 sospesi dal pubblico ufficio.
Si tratta dell’esito di un’indagine, avviata nel 2021 a seguito di svariate denunce da parte dei detenuti, che ha scoperchiato un vero e proprio modus operandi fatto di violenze continue nelle zone “all’ombra” dei sistemi di sorveglianza. Non solo pestaggi ma anche vessazioni che prevedevano, ad esempio, far denudare i detenuti e bagnarli con urina.
Rileggere i tentativi evasione
A fronte della notizia di oggi, è il caso di rileggere i tentativi di evasione (ben 3 negli ultimi anni) e le diverse proteste avvenute dal 2020 ad oggi, nel carcere di Trapani. Ma occorre anche soffermarsi nuovamente sulle parole del segretario provinciale del SiNAPPe (Sindacato Nazionale Autonomo di Polizia Penitenziaria) che il 27 Agosto 2024 dichiarava: «domenica è scoppiata una rissa scoppiata al reparto Mediterraneo nel carcere di Trapani tra detenuti tunisini e nigeriani. Oggi una seconda rissa tra detenuti catanesi e trapanesi. Sempre oggi un carcerato è salito sul tetto del reparto Tirreno per chiedere che venisse trasferito in un altro carcere», aggiungendo: «ci sentiamo soli, personale sempre carente […] Occorre sollecitare l’inizio dei lavori per il reparto isolamento, chiuso per inagibilità. Il carcere di Trapani – aggiunge il dirigente sindacale – non può non avere questo reparto»
Esiste una lettura banale, che viene ripetuta come un mantra: “più polizia per più sicurezza”.
Persino a fronte degli arresti e delle torture accertate, i sindacati di polizia adducono i fatti alla carenza di personale. Il segretario generale della UILPA Polizia Penitenziaria (Unione Italiana del Lavoro Pubblica Amministrazione) Gennarino De Fazio parte bene per finire malissimo: «Sono ormai decine le indagini, pressoché in tutta Italia, a carico di appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria – aggiunge – e centinaia gli agenti indagati, sospesi dal servizio e talvolta condannati. Ovviamente, chi sbaglia deve essere individuato e perseguito, ma se a farlo, anche solo in via presuntiva, sono centinaia, diventa evidente la patogenicità del sistema che non solo non protegge, ma evidentemente favorisce e addirittura induce all’errore. Non si può parlare di mele marce, ma è la cesta marcia che fa imputridire ciò che contiene. […] Urgono misure tangibili, la Polizia penitenziaria è stremata nelle forze, mortificata nell’orgoglio e persino impaurita nello svolgere il proprio lavoro.»
Appare chiaro che il clima repressivo e i nuovi reati introdotti dal Decreto Sicurezza andranno ancor di più a gravare sulla vita dei detenuti e delle detenute, sostenere la linea dei sindacati di polizia penitenziare e quindi giustificare – e probabilmente incrementare – le violenze dentro gli istituti penitenziari.
Si dice spesso che il “pesce puzza dalla testa”, e a leggere queste dichiarazioni, è difficile negarlo. Ma rimetterci la vita e la salute continuano ad essere gli ultimi della nostra società, quelli “cestinati”, quelli che “in fondo se la sono cercata”, e forse “se lo meritano”.
Come si modelleranno le carceri nei prossimi anni non è dato saperlo con certezza, ma una cosa la possiamo già dire: i presupposti sono pessimi.