Osservazioni sull’economia siciliana (3)
Il settore terziario: la grande distribuzione e i distretti turistici
Il grosso della forza-lavoro siciliana, come avviene in quasi tutti i paesi del mondo, si concentra nel settore terziario. In Sicilia però, e ciò avviene soltanto nei territori colonizzati, il Terziario è caratterizzato da un ipertrofico sviluppo di attività di base e servizi a basso valore aggiunto, che richiedono un basso impiego di capitali e di tecnologie; nei paesi del “centro imperialista”, al contrario, il Terziario è più contenuto e si distingue per gli alti investimenti, la mano d’opera specializzata, l’alto livello della ricerca e delle innovazioni tecnologiche. In Sicilia le attività terziarie, da quelle commerciali a quelle assistenziali, sono la principale fonte del precariato; ciò per la natura stessa di quelle attività, spinte a massimizzare l’utilizzo “flessibile” delle risorse umane, piegandole alla mobilità e alle cicliche fluttuazioni del mercato. L’enorme massa di lavoratori compresa nel Terziario siciliano è condannata in termini di contratto, qualità del lavoro, estrema mobilità e bassi salari; il trasferimento dei lavoratori Almaviva dalla Sicilia alla Calabria, con contratti a tempo e salari ridotti, è l’ultimo esempio della condizione di precarietà in cui versano questi lavoratori. Nel 2014 l’83% di tutti i lavoratori siciliani, all’incirca un milione di persone, operava nel Terziario; quote sempre più alte di quell’83% erano occupate nella Grande Distribuzione Organizzata (GDO) e nel turismo.
La grande distribuzione ha una lunga storia. In Italia ha avuto inizio nel 1877, quando a Milano aprì i battenti il primo grande magazzino di abbigliamenti e arredi “Alle Città d’Italia”. Da allora, altri gruppi capitalistici hanno tentato l’impresa ma limitatamente a qualche grande città come Torino o Roma. Gli anni e ’60 e ’70 del Novecento hanno visto il monopolio della Standa e dell’UPIM che, sebbene fondate in età fascista, con l’acquisto da parte della Montedison nel 1966 sono riusciti a sviluppare un’ampia catena di punti vendita in tutto il paese. La Grande Distribuzione Organizzata (DGO) dei nostri giorni è la versione multinazionale dei Grandi Magazzini, sebbene si distingua per il forte impatto economico e culturale sui territori. La GDO comincia a svilupparsi dopo gli anni ’90. In Sicilia, già nel primo decennio del 2000 i suoi punti vendita raddoppiano. I costi sociali della grande distribuzione sono stati subito chiari: laddove si impiantavano super e ipermercati, il commercio al dettaglio perdeva pesantemente terreno: nel 2010 il piccolo dettaglio copriva il 34% del mercato, mentre il restante 66% era ormai finito nelle mani della GDO (dato nazionale).
Nel 2012 il commercio interno in Sicilia era gestito da 70.452 esercizi commerciali al dettaglio e da 918 esercizi della grande distribuzione, ripartiti in 694 supermercati, 189 grandi magazzini e 35 ipermercati. Nel corso del 2013 si registrava una forte riduzione del numero degli esercizi commerciali al dettaglio in sede fissa, calati di 947 unità, con una perdita dell’1,3%. Al contrario, gli esercizi della grande distribuzione, che alla fine del 2012 ammontavano a 918, l’anno successivo crebbero del 2,2%. Quanto al numero di addetti, a fine 2013 nei supermercati lavoravano 9.301 persone (con un rapporto di addetti per impresa pari a 13,4); gli ipermercati impiegavano 3.294 persone (con un rapporto di 94,1 addetti per impresa). Cifre irrisorie, se si pensa alle diverse centinaia di migliaia di addetti del commercio al dettaglio. I dati disponibili sui valori delle vendite al dettaglio mostrano che in Sicilia le vendite hanno subito, tra il 2012 e il 2013, una significativa contrazione legata al calo del 3,9% nelle vendite, che raggiungeva il 4,3% nello scomparto non alimentare. Nello stesso periodo, la grande distribuzione faceva registrare una crescita nelle vendite alimentari e addirittura un’impennata in quelle non alimentari.
Per meglio orientarci tra tutte queste cifre, dobbiamo tenere conto del fatto che le unità della GDO assorbono mediamente una maggiore quantità di lavoro; il numero di commessi e impiegati nelle grosse catene di vendita è ben più elevato che nell’ormai obsoleta “bottega”. Questo dovrebbe bastare a rallegrarci tutti. Ma non è così; un ipermercato sottrae terreno a un numero molto elevato di piccole e medie aziende commerciali e pertanto si comprende che il vantaggio dell’alto numero di dipendenti è solo apparente. La GDO è cresciuta sulle spalle del commercio al dettaglio, come sottolineava poco tempo fa Giacomo Rota, segretario della CGIL di Catania: “Il commercio di prossimità nelle vie cittadine è in ginocchio, migliaia di imprese commerciali hanno chiuso in Sicilia. Chiediamo un intervento forte del governo regionale che deve bloccare l’apertura di nuovi centri commerciali”. Il danno territoriale della GDO tuttavia è ben più pesante: per un quadro più completo, si dovrebbe aggiungere che la GDO commercia in prevalenza prodotti di catene agroalimentari multinazionali e di conseguenza lascia inutilizzate le produzioni locali. Perciò non sono solo i piccoli commercianti e i loro addetti le vittime della GDO, ma l’intero settore agricolo e alimentare del territorio.
Negli anni immediatamente successivi al 2010, la Sicilia consolidava la propria posizione di importatore; ne è prova il saldo del commercio estero, che nel 2013 si presentava con un disavanzo negativo pari a poco più di 8.841 milioni di Euro a fronte di un saldo negativo dell’anno precedente di 7.879 milioni. Rispetto all’anno 2012 si registrava, dunque, una maggiore riduzione nelle esportazioni (1.940 milioni, pari al -14,8%) rispetto all’aumento delle importazioni. L’aumento dell’importazione di prodotti agroalimentari, dunque, è andato di pari passo al rallentamento dell’esportazione, al crollo della produzione territoriale e alla connessa disoccupazione. La presenza della GDO desertifica il territorio; oltre a ridurre l’occupazione, distrugge il sistema agroalimentare, zootecnico, della pesca, limitandosi a tenere in vita solo qualche produzione “di nicchia”.
Negli ultimi tre anni la tendenza alla crescita della GDO sembra essersi arrestata. Con l’inarrestabile crollo dei consumi, anche la grande distribuzione perde colpi. In breve le proporzioni del fenomeno: gli Ipermercati Coop hanno già chiuso a Modica e si prevede la chiusura anche a Ragusa. Il colosso della distribuzione Coop Sicilia si appresta a chiudere sei punti vendita nei prossimi mesi. Gli ipermercati di Pachino, Avola, Mazara del Vallo, Pozzallo e Scicli, fanno sapere che abbasseranno le saracinesche per colpa della crisi di consumo. “Il fatturato raggiunto nei punti vendita – comunica la società ai sindacati – è inferiore alle attese e agli investimenti effettuati, a causa dell’attuale congiuntura globale sfavorevole, con perdite nel 2014 di oltre il 54 per cento”.
Altro gruppo in crisi è lo SMA-Simply che sta per lasciare l’isola; in questo caso diverse centinaia di lavoratori sono a rischio nei 36 punti di vendita a Palermo, Catania, Siracusa, Trapani e Messina. Perfino nei due promettenti ipermercati catanesi, Le Ginestre e Le Zagare, in pochi mesi si è passati dalla grande speranza alla cassa integrazione. La francese Carrefour non sta affatto meglio: saltato l’accordo con i sindacati, per 77 dipendenti in 22 supermercati delle province di Trapani e Palermo si aspettano le lettere di licenziamento. La stessa azienda riconosceva, già nel 2014, che «in Sicilia ben 18 dei 21 supermercati diretti risultano in perdita». Mercatone Uno è in amministrazione controllata, Ferdico in amministrazione giudiziaria, e l’elenco non si ferma qui.
In questo quadro va inserito anche un elemento di non secondario valore, che rimanda alle cosiddette “riorganizzazioni aziendali”. Molto spesso la GDO sventola la crisi di consumo come uno spauracchio per nascondere movimenti speculativi; sempre più spesso i profitti vengono scorporati dai bilanci e messi in salvo nelle banche e nei paradisi fiscali; spariti i profitti, non resta che dichiarare fallimento, chiudere i supermercati o cedere l’attività ad altri gruppi finanziari. L’estrema mobilità e volatilità del capitale finanziario agevola le operazioni piratesche compiute a danno dei lavoratori siciliani.
“Apprendiamo con rammarico della chiusura di questi supermercati” si lamenta Mimma Calabrò, segretario della Fisascat Sicilia. Sebbene sia poco condivisibile un tale pianto di coccodrillo, la Calabrò non può non riconoscere che la crisi è in atto e che la “riorganizzazione aziendale” delle catene di distribuzione, che lei comunque auspica, molto spesso altro non è che l’imposizione di condizioni contrattuali più gravose. Di recente, per fare un solo esempio, il gruppo Auchan ha provocatoriamente proposto, al fine di evitare i licenziamenti in Sicilia, la stipula di contratti in deroga al contratto nazionale di lavoro; la provocazione è stata rigettata dai lavoratori siciliani che a questo punto, però, sono minacciati di licenziamento.
Insieme alla grande distribuzione, anche il turismo ha presentato nel volgere di questi ultimi anni un andamento contraddittorio. Prima del 2015, le presenze turistiche in Sicilia erano in forte calo: ancora agli inizi del 2015 gli arrivi di turisti scendevano dell’1,7% e del 2% le presenze di stranieri; un calo che sorprende di fronte al contemporaneo incremento di oltre il 10%, registrato in regioni come il Piemonte o la Lombardia. A partire dal 2015 si nota però un’inversione di tendenza; i turisti affluiscono numerosi in Sicilia, le catene alberghiere aumentano i posti letto, la ristorazione e i trasporti riprendono fiato. Una lieta novella, dunque, se non fosse che le trionfanti statistiche si capovolgono quando fotografano la forza-lavoro impiegata, quelle porzioni di proletariato precarizzato di cui la Sicilia è colma! Dopo il 2015 il calo complessivo dell’occupazione nelle attività turistiche fu vistoso, avendo raggiunto il 57% a Enna e il 27% ad Agrigento.
L’assessore regionale al turismo, onorevole Barbagallo, si sgola per convincerci che l’aumento dell’1,7% delle presenze turistiche dell’anno scorso è il primo passo fuori dalla crisi. L’onorevole assessore non perde occasione di ripetere che il turismo è un settore in forte sviluppo, che bisogna puntare sul turismo senza esitazioni, che la Sicilia ha da arricchirsi col turismo. Ma è a tutti chiaro che Barbagallo bluffa e che mostra solo una faccia della medaglia. Finge inoltre di non sapere che i flussi turistici verso i paesi nordafricani e arabi si sono bloccati per via delle guerre e adesso si riversano in parte sulla nostra isola. In altre parole, si tratta solo di una momentanea trasformazione del mercato internazionale, non della presunta imprenditorialità dei manager turistici. Nulla ci dice il sig. Barbagallo, e questo è più grave, del fatto che l’aumento si accompagna a un calo impressionante di lavoratori, che nell’inverno del 2015 era arrivato a toccare l’80%. I dati di cui tanto si bea l’assessore erano stati registrati nel corso dell’estate, quando una piccola parte di quell’80% era stata richiamata in servizio per la stagione estiva; da qui l’aumento dell’1,7% sbandierato come una vittoria del management turistico siciliano contro la crisi globale.
Quando si tratta di venire ai fatti, l’assessore, chino ai voleri del governo e della commissione europea, si adopera per rafforzare i Distretti Turistici, aggregati di imprese private e enti pubblici, spianando solo ad essi la strada dei corposi finanziamenti, delle agevolazioni fiscali e burocratiche. Attualmente in Sicilia si contano una trentina di Distretti “culturali” (es. “Palermo Costa Normanna” o “Valle dei Templi”) e una decina di tipo paesaggistico (es. “Salemi” o “Etna”). All’interno di un Distretto si trova di tutto: comuni, regione, catene alberghiere, agenzie di viaggi, tour operators, ristoratori, trasportatori. Nonostante sia una aggregazione di realtà diverse tra loro, la figura giuridica del Distretto è unica.
La presunta crescita del turismo iniziata nell’estate del 2015, non va dimenticato, non può nascondere la diminuzione degli addetti, la schiavizzazione di quelli che restano in attività, la distruzione della piccola imprenditoria familiare. Emblematico è il caso di Enna: qui attualmente si contano quasi 3 mila posti letto, distribuiti in alcune centinaia di strutture d’accoglienza turistica. Di queste, più della metà sono B&B, una quarantina gli agriturismo e solo 6 alberghi a 4 stelle. L’arrivo di capitali finanziari nel Distretto “Dea di Morgantina” cofinanziato dall’Unione Europea, in un momento in cui anche a Enna si manifestano le trasformazioni di mercato di cui va fiero il nostro Barbagallo, sta producendo danni enormi alle piccole aziende familiari.
Il Distretto Turistico rappresenta un aspetto particolare di concentrazione: unisce nella corsa all’accoglienza grossi capitali e istituzioni, servizi e finanza internazionale. Forti di tale aggregazione, i Distretti si appropriano della maggior parte dei finanziamenti nazionali e comunitari, condannando alla chiusura migliaia di strutture turistiche organizzate su base familiare (tra tutti i B&B). Nel partenariato pubblico e privato, i flussi finanziari vanno assumendo un peso crescente, in modo particolare nel settore turistico. Le quote di proprietà più alte rimangono nella disponibilità del capitale internazionale. Dopo l’estate del 2015 cinque gruppi finanziari americani hanno deciso di investire nell’area catanese. Variando le offerte, assicurando tour completi, guide, giri culturali e paesaggistici, pacchetti scontati e via dicendo, questi gruppi attraggono turisti, portandoli via alle strutture alberghiere deboli; al tempo stesso si fanno promotori di normative sempre più penalizzanti per l’impresa familiare. In Sicilia il turismo arranca, ci dicono i grossi investitori, perché è stato sempre lasciato al “fai da te” mentre invece oggi più che mai necessita di essere trattato in modo manageriale. Chi fa da sé, insomma, non fa più per tre, ancor più se quei tre sono i suoi operai.