Piazza Fontana non è poi così distante
12 dicembre ’69, una bomba esplode presso la sede della Banca dell’Agricoltura di Milano: 17 morti e decine di feriti. É l’inizio di quella che alcuni ribattezzeranno “strategia della tensione”. Quasi quarant’anni di vicende giudiziarie non restituiranno alla storia nessun colpevole “ufficiale”; a pagare, alla fine, sarà solo il ferroviere anarchico Pinelli – morto dopo il volo da una finestra della questura di Milano durante un interrogatorio “guidato” dal commissario Luigi Calabresi – oltre, ovviamente, alle vittime dirette dell’esplosione. Correntisti, impiegati e agricoltori perdono la vita in un normale pomeriggio tra banca e mercato in piazza. Tra questi anche un siciliano residente nel capoluogo lombardo; si chiamava Calogero Galatioto, aveva 77 anni e si era trasferito con moglie e figli “al nord” molti anni prima in cerca di fortuna.
12 dicembre 2017. da troppe settimane il battage mediatico soffia sul fuoco dell’indignazione democratica. L’Italia ha da pochissimo scoperto la non-estinzione della specie “fascista nostalgico del ventennio”. Apriti cielo: Renzi e il suo Partito democratico manifestano a Como; i 5stelle ad Ostia; a Milano i volontari ricreano un grande murales con la scritta “bella ciao” cancellato pochi giorni prima presumibilmente da fascisti. Insomma, l’anima bella, civile e democratica del paese scopre l’esistenza di una zona d’ombra nelle virtù di questa ipocrita nazione.
Interessante notare come a questa “ri-scoperta” non corrisponda affatto una crescita organica e sostanziale dei gruppi della destra organizzata. A quale logica risponde allora il presente allarmismo?
Una risposta è arrivata ieri pomeriggio (anniversario della strage di piazza Fontana) da una piazza siciliana. A Palermo, infatti, un corteo ha attraversato le vie del centro cittadino con uno striscione in testa che diceva “Antifascismo Militante”. Ed erano centinaia e centinaia; forse migliaia. Cosa dicevano questi antifascisti siciliani? “L’antifascismo non si delega”; “Nessuna fiducia nello Stato e nel PD”; “Contro il fascismo tolleranza zero”. La distanza dall’antifascismo di facciata dei partiti appare chiara. Perché? La bandiera dell’antifascismo dovrebbe unire, non dividere… forse.
Nel 1969, la madre di tutte le stragi comportò una reazione dello Stato indiscriminata e rivolta contro ogni forma di radicalità politica. Furono centinaia i militanti fermati, interrogati, torturati per far luce su un attentato su cui nessuno voleva fare luce. E che si scoprirà dopo essere riconducibile proprio a pezzi di quello stesso Stato che diceva di piangere i suoi morti. E poi c’erano i fascisti, quelli che le bombe le mettevano fisicamente al loro posto. E poi c’era Pinelli, colpito da un “malore attivo” che lo fece venir giù da una finestra. E poi c’era un paese che si dice tutt’ora democratico e che tollera che nella sua storia recente possa comparire quella voce: strage di stato! Unico caso al mondo in cui la popolazione è a conoscenza del coinvolgimento del proprio Stato nell’uccisione di suoi innocenti cittadini! Senza ipocrisie questa Italia…
Comunque da siciliani conosciamo entrambe le logiche serpeggianti nell’attuale dibattito su fascismo e antifascismo: c’è il richiamo a “stringersi a corte” contro l’imminente pericolo (che però fino a pochissimo tempo fa nessuno riteneva tale); e c’è l’invito a delegare alle forze dell’ordine questioni sociali e politiche – l’antifascismo si fa con la cultura, al resto pensano denunce e polizia.
Da siciliani conosciamo entrambe le strategie; le conosciamo e le rifiutiamo. La prima perché non conosciamo né corti né re; la seconda, beh, perché siamo siciliani/e… mica carabinieri.
Il corteo di Palermo, rosso e partecipato, ieri diceva anche altre cose; due in particolare: “difendiamo la nostra città e le sue strade” e “onore ai partigiani”.
12 dicembre 2017: onore a chi difende il proprio territorio; onore ai nuovi partigiani!