Quanto indietro possiamo andare?
L’episodio del camion uscito fuori strada a Resuttano, nel tratto di strada provinciale che i mezzi pesanti percorrono per aggirare l’interruzione in atto sull’autostrada Palermo-Catania, e l’annuncio della manifestazione del 24 gennaio contro le condizioni di abbandono della A18 e della A20 sono due facce della stessa medaglia. Le condizioni catastrofiche in cui versa la viabilità siciliana provocano continui incidenti e aumentano la consapevolezza degli abitanti che bisogna intervenire al più presto.
Lo scorso giugno, un dossier dell’Anas registrava che in Sicilia erano ferme opere per un miliardo e mezzo. Tra le opere citate c’erano il cantiere tra la A19 e Bolognetta, quello sulla tangenziale di Gela e quello sulla tangenziale di Catania. Per tutta risposta il PD aveva denunciato il blocco dei cantieri nonostante il Governo Renzi avesse stanziato diversi miliardi destinati alle infrastrutture attraverso il Patto per la Sicilia e i Patti per il Sud. Nello Musumeci, appena eletto, aveva preso di petto la questione con l’intento di ridimensionare il ruolo dell’Anas. Sul disastro delle infrastrutture siciliane sembrava fosse in atto una guerra di tutti contro tutti.
Cancelleri, non appena nominato viceministro alle infrastrutture e ai trasporti, aveva manifestato il più grande impegno, un vero e proprio Piano Marshall (ma quanti ne abbiamo sentiti?), e aveva garantito per il Governo Cinquestelle-PD che l’ammodernamento della mobilità siciliana sarebbe stato obbiettivo prioritario. Lo stesso Primo Ministro Conte aveva assunto il riscatto del Sud come elemento fondamentale del proprio programma. Gli investimenti necessari per l’ammodernamento della rete stradale e ferroviaria ammonterebbero, secondo il Ministero dei Trasporti e Rete Ferroviaria Italiana, a 12 miliardi di euro.
Prima di loro Crocetta aveva siglato con Renzi il Patto per la Sicilia che doveva includere mille cantieri («anzi, 1100 per la precisione» – aveva aggiunto il Governatore) e prevedeva per l’Isola finanziamenti per 5,6 miliardi di euro (500 milioni solo per il dissesto idrogeologico). 2,3 miliardi dovevano essere spesi nel biennio 2016-2017. Un’inondazione di liquidità non solo per la Regione, ma anche per i Comuni, le Città Metropolitane, i Liberi Consorzi da utilizzare per risistemare il territorio, migliorare la mobilità, ammodernare il sistema idrico, rilanciare i Beni Culturali, bonificare le aree industriali, finanziare l’edilizia residenziale pubblica, lo sport, il turismo, la portualità.
Prima ancora, Raffaele Lombardo, preoccupato per lo stato di arretratezza delle infrastrutture siciliane, aveva aperto un confronto con il Governo nazionale chiedendo un intervento per le annose incompiute. Tra queste erano segnalate il completamento della Palermo-Agrigento, l’autostrada Ragusa-Catania, la superstrada Nord-Sud Santo Stefano di Camastra-Gela.
Quanto indietro potremmo andare? Verosimilmente all’infinito. Ne verrebbe fuori un lungo elenco di annunci e piagnistei, richieste con il cappello in mano e sperpero di denaro pubblico.
Forse, dovremmo smettere di pagarle queste autostrade della morte e i treni dell’altro secolo. Bisognerebbe alzare la testa contro le promesse mai mantenute e gli annunci mai rispettati. Il 24 gennaio a Messina sarà il momento dell’inizio. Che si diffonda per tutta l’Isola!