Regionalismo differenziato? No, grazie. Abbiamo già dato.
L’ultimo Consiglio dei ministri (giovedì, 11 luglio) riunito per discutere e decidere sulle proposte di “autonomia differenziata” da parte delle regioni Lombardia, Veneto e Emilia-Romagna non ha raggiunto un accordo. Non sarebbe la prima volta ma stavolta sono volati gli stracci. Sia Erika Stefani, ministro degli Affari regionali in quota Lega, che Barbara Lezzi, ministro per il Sud in quota Cinquestelle, rimandano all’alleato di governo la mancata conclusione di un accordo, rinfacciandosi l’una con l’altra, di “aver cambiato idea” rispetto il contratto di governo. Altri esponenti dei rispettivi partiti dicono che comunque sono stati fatti passi avanti e che si discute di “modifiche”. Ma Fontana, governatore della Lombardia, si dice “molto deluso”, parla di “schiaffi” e dichiara di essere pronto a scendere in piazza.
Vale la pena, perciò, partire dal “contratto di governo” di Lega e Cinquestelle. Al punto 20. Riforme istituzionali, autonomia e democrazia diretta, c’è scritto: «Sotto il profilo del regionalismo, l’impegno sarà quello di porre come questione prioritaria nell’agenda di Governo l’attribuzione, per tutte le Regioni che motivatamente lo richiedano, di maggiore autonomia in attuazione dell’art. 116, terzo comma, della Costituzione, portando anche a rapida conclusione le trattative tra Governo e Regioni attualmente aperte. Il riconoscimento delle ulteriori competenze dovrà essere accompagnato dal trasferimento delle risorse necessarie per un autonomo esercizio delle stesse. Alla maggiore autonomia dovrà infatti accompagnarsi una maggiore responsabilità sul territorio, in termini di equo soddisfacimento dei servizi a garanzia dei propri cittadini e in termini di efficienza ed efficacia dell’azione svolta. Questo percorso di rinnovamento dell’assetto istituzionale dovrà dare sempre più forza al regionalismo applicando, regione per regione, la logica della geometria variabile che tenga conto sia delle peculiarità e delle specificità delle diverse realtà territoriali sia della solidarietà nazionale, dando spazio alle energie positive ed alle spinte propulsive espresse dalle collettività locali. Occorre garantire i trasferimenti necessari agli enti territoriali e una contestuale cessazione delle “politiche di tagli” compiute dagli ultimi Governi».
Stando a queste carte, avrebbero ragione entrambe, Stefani e Lezzi, perché nel “contratto” c’è sia la determinazione a portare avanti («questione prioritaria, rapida conclusione») il processo di maggiore autonomia che quello di mantenere la solidarietà nazionale. Perché il “contenzioso” sembra questo, che qualcuno tira da una parte (la Lega) e qualcuno tira per l’altra (i Cinquestelle). In realtà, però di testi ce ne sono altri, a cui fare riferimento e sono: sia il pre-accordo raggiunto sinora negli incontri fra governo e regioni, fatto proprio dal governo, sia le contro-proposte o l’irricevibilità dichiarata dalle regioni. Questi testi sono ora disponibili (delle “modifiche” in corso di dibattito non c’è invece alcuna traccia). Ci soffermiamo su uno di questi – la proposta del Veneto, Bozza del 15 maggio 2019: Intesa sottoscritta tra il Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte e il Presidente della Regione Veneto Luca Zaia – perché è la regione che ha chiesto l’attribuzione di tutte le 23 competenze (la Lombardia ne ha chiesto 20 e 15 l’Emilia-Romagna), e quindi è, insieme, il testo più complesso e controverso.
Su cosa c’è già un “accordo” (preliminare, discorsivo) fra Stato e Veneto? Intanto, di che si tratta? Al titolo I, art. 2, ecco elencate le Materie: 1) organizzazione della giustizia di pace, limitatamente all’individuazione dei circondari; 2) norme generali sull’istruzione; 3) istruzione; 4) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali; 5) rapporti internazionali e con l’Unione Europea della regione; 6) commercio con l’estero; 7) tutela e sicurezza del lavoro; 8) professioni; 9) ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; 10) tutela della salute; 11) alimentazione; 12) ordinamento sportivo; 13) protezione civile; 14) governo del territorio; 15) porti e aeroporti civili; 16) grandi reti nazionali di trasporto e di navigazione; 17) ordinamento della comunicazione; 18) produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; 19) previdenza complementare e integrativa; 20) coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; 21) valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; 22) casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; 23) enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Dalle politiche ambientali a quelle occupazionali, dalla raccolta fiscale al controllo delle infrastrutture (viarie, o di fonti energetiche), dalla scuola al lavoro, è difficile, dopo questo elenco, trovare qualche “competenza” che possa rimanere allo Stato.
Su cosa c’è già un “accordo preventivo” tra governo e Veneto? Vediamo voce per voce.
Per: 1) Competenze in materia di Istruzione; 2) Attribuzione di funzioni comunali e provinciali in materia di tutela ambientale; 3) Rapporti internazionali e con l’Unione europea; 4) Professioni; 5) Ricerca scientifica e tecnologica nel raccordo con il sistema universitario regionale; 6) Pesca e acquacoltura; 7) Sviluppo del sistema sportivo regionale; 8) Governo del territorio; 9) Disposizioni in materia di rischio sismico; 10) Zona Franca; 11) Ordinamento della comunicazione; 12) Previdenza; 13) Patrimonio librario; 14) Funzioni in materia di oli minerali – c’è il parere favorevole del Veneto sul testo presentato dal governo che recepisce le richieste della Regione.
Su: 1) Sistema camerale regionale; 2) Valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali – c’è una proposta del governo non condivisa e non accettata da parte della Regione.
Su: 1) «Organizzazione della Giustizia di Pace; 2) Norme relative al personale dell’Ufficio Scolastico Regionale e degli Uffici d’Ambito Territoriale e delle istituzioni scolastiche regionali; 3) Edilizia scolastica; 4) Tutela dell’ambiente e dell’ecosistema; 5) Potere di iniziativa; 6) Rafforzamento del sistema regionale dei servizi per il lavoro, nonché delle funzioni regionali in materia di collocamento e di incentivi all’assunzione; 7) Istituzione del fondo regionale per la cassa integrazione guadagni e le politiche passive; 8) Ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; 9) Tutela della salute; 10) Protezione civile; 11) Infrastrutture viarie; 12) Norme in materia di porti e aeroporti; 13) Funzioni in materia di gestione della Laguna di Venezia e del suo Bacino scolante – su tutto questo, c’è il parere favorevole della Regione però con la richiesta di integrazioni o modifiche appositamente indicate (sarebbe davvero complicato riportare qui tutte le integrazioni: il testo integrale si trova qui).
Sulla Regionalizzazione del gettito dell’accisa sul gas naturale rigassificato nel territorio del Veneto – si è in attesa parere del Ministero e quindi è un punto sospeso.
Laddove, invece, la proposta del governo ha trovato il parere contrario del Veneto è su: 1) Rifiuti; 2) Bonifiche.; 3) Difesa del suolo; 4) Prodotti biologici; 5) Altre Infrastrutture di trasporto; 6) Funzioni in materia di produzione, trasporto e distribuzione di energia; 7) Tenuta e vigilanza dell’Albo delle Società Cooperative; 8) Fondi per le imprese.
Non solo, ma resta senza una proposta del governo una serie di materie, indicate invece come importanti dal Veneto, e cioè: 1) Rafforzamento dell’autonomia tributaria; 2) Coordinamento della finanza pubblica regionale; 3) Trasferimento delle competenze in materia di demanio; 4) Funzioni in materia idrica e ambientale; 5) Tutela dei beni culturali; 6) Regionalizzazione delle Soprintendenze; 7) Tutela dei beni paesaggistici; 8) Casse di Risparmio; 9) Rafforzamento del ruolo della Regione nel controllo e nella gestione dei flussi migratori per ragioni economiche.
Questo è lo stato dell’arte. La richiesta di “autonomia differenziata” è il risultato di un referendum in Lombardia e Veneto – a cui si è successivamente aggregata l’Emilia-Romagna (altre regioni avrebbero manifestato il loro interesse) – e un primo accordo con il governo Gentiloni, sul finire della legislatura. È un cavallo di battaglia della Lega che ha sinora suscitato perplessità (tra numerosi costituzionalisti, ma anche da parte della Corte dei Conti che ne ha smontato l’impianto “finanziario” dimostrando, conti alla mano, che si finirebbe con l’accentuare la distanza tra il Nord e il Sud nonché a produrre un aumento dei costi generali) e opposizione da parte degli insegnanti, soprattutto, che si vedrebbero costretti a scegliere tra graduatorie regionali e nazionale, e di una vasta area sociale meridionale. La rete de Il Sud conta dà forma a questa opposizione.
Più che a un processo aperto di “secessione” punta a una ridefinizione dell’unità dello Stato – costituzionalizzando in forma diversa quello che è sempre accaduto, ovvero il maggiore trasferimento di risorse al Nord, con un intervento “alla fonte”: trattenere al Nord quello che il Nord produce e, in più, chiedere ulteriori aiuti. Il carattere “sociale” dello Stato, nel senso di un intervento di perequazione tra aree più avvantaggiate e meno, verrebbe completamente abbandonato: chi ha di più ha il diritto di avere di più, e chi ha di meno si deve arrangiare. Perso il carattere sociale e unitario, dello Stato rimarrebbe un involucro – o per meglio dire: il “controllo” del territorio e dei suoi confini che si esercita attraverso l’apparato militare e di polizia. Questo è il “golpe”.
Per quello che riguarda la Sicilia, l’autonomia differenziata manda definitivamente in soffitta lo Statuto e ogni idea di “decentramento”: l’autonomismo, come processo, si rovescia e si sposta al Nord, ma con due elementi che sono sempre mancati all’isola: un soggetto politico che ne ha fatto questione identitaria e un soggetto economico (classi imprenditoriali e rappresentanze del lavoro) che vi si identifica per il proprio vantaggio e se ne fa portatore.
Siamo di fronte a un processo di riorganizzazione dello Stato: non è, con ogni evidenza, una questione di “trattativa” tra alleati di governo, la Lega e i Cinquestelle – trovando una “quadra” nel cedere qualcosa all’uno per avere qualcosa dall’altro. Possono esservi intoppi, rimandi, modifiche e rettifiche, ma il processo andrà avanti. Da questo punto di vista – lo ribadiamo – solo un chiaro discorso sull’indipendenza è capace di cogliere le trasformazioni in atto e dare una speranza alla Sicilia e ai siciliani.