Tutto il potere ai comitati territoriali. Report assemblea meridionale

Tutto il potere ai comitati territoriali. Report assemblea meridionale

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Comitati, associazioni e realtà sociali contro le devastazioni ambientali, le grandi opere inutili e dannose, il cambiamento climatico, per la salute e la giustizia ambientale. 

L’appuntamento meridionale calabrese, il secondo dopo la tappa napoletana del 3 marzo, ha rilanciato un percorso comune necessario a far maturare un punto di vista meridionale sulle criticità che attraversano i nostri territori nel tentativo di creare collegamenti stabili e duraturi tra movimenti, comitati e individualità. 

Pensiamo che il tempo sia maturo per costruire una piattaforma programmatica condivisa, partendo dal documento di convocazione dell’assemblea meridionale ed estendendola alle tante situazioni ove si manifestano emergenze e criticità diffuse nei territori che spesso non trovano alcun riscontro nelle politiche istituzionali e in talune mappature ministeriali (http://www.isprambiente.gov.it/it/temi/siti-contaminati/siti-di-interesse-nazionale-sin).

Le grandi opere − e in passato i cosiddetti Interventi Straordinari per il Sud − vengono imposte alle popolazioni come tappe obbligate per la modernizzazione e lo sviluppo dei nostri territori e come fonte di reddito per le nostre comunità. Interventi spesso riguardanti le infrastrutture viarie, come nel caso del 3° megalotto della SS106, opere progettate e realizzate a tavolino da chi non conosce il territorio, non negoziabili e delle quali non si conosce mai il reale impatto sulle nostre vite e sulla salute pubblica: opere che prevedono costi faraonici, necessari a garantire grossi profitti che − è inutile sottolinearlo – vengono puntualmente dirottati verso altre latitudini senza lasciare nulla in termini di ricchezza sul territorio: soltanto malattie, morti, saccheggi, devastazioni territoriali e mistificazioni identitarie. 

L’importante esperienza e la testimonianza di lotta che ha attraversato la nostra assemblea meridionale, con le compagne del Consejo Cívico de Organizaciones Populares e Indígenas de Honduras (COPINH), ci parla di un sistema capitalistico, coloniale e predatorio, che da sempre scaccia le popolazioni indigene dai loro territori tradizionali per far posto a grandi impianti estrattivi, a migliaia di ettari di monocoltura che impoveriscono la terra e a mega impianti idroelettrici capaci di uno sfruttamento avido delle risorse naturali e delle materie prime a scapito dell’ambiente e delle comunità indigene. 

La privatizzazione dei boschi, dell’acqua e dei fiumi sono le tristemente collaudate ricette ultraliberiste che il mercato impone ai paesi del Centro America – così come qui – con l’unico scopo di garantire ingenti profitti alle imprese honduregne e alle troppe e voraci multinazionali occidentali che operano con pratiche neo-coloniali su ogni territorio. 

Ancora una volta le pratiche di accumulazione per esproprio di terra sono i tratti salienti che accomunano i Sud del mondo. 

Intere regioni vengono colonizzate economicamente e culturalmente da paesi definiti “società avanzate” ad uso e consumo delle multinazionali di bandiera, holding finanziarie e istituzioni internazionali che spalleggiano regimi dittatoriali capaci di militarizzare il territorio per prevenire o bloccare ogni resistenza popolare. 

Questa esperienza rafforza la nostra volontà di ritornare ad agire ed attraversare politicamente i nostri territori partendo dai luoghi dove già esistono nuclei di comunità in lotta che praticano il conflitto e l’autodifesa in tutte le sue forme. 

Il radicamento e la creazione di relazioni non mediate da meccanismi di consumo, quindi diventano fondamentali per avere concrete possibilità di fare breccia in società ancora troppo passive, con l’idea forte che un’alternativa al sistema capitalistico di produzione sia realmente possibile e praticabile. La riappropriazione dei meccanismi di produzione passa dalla condivisione di esperienze e conoscenze, dal mettere in comune spazi di agibilità e di riproduzione del sapere. È necessario attivare un processo di incompatibilità con i meccanismi che vedono individui, comunità e territori come merce o come risorsa da capitalizzare. È quindi attivando un sistema di relazioni che consentano di sorpassare i bisogni imposti dalla società dei consumi, che si potrebbero innescare dei processi di mutualismo conflittuale, i quali avrebbero come orizzonte comune quello di mettere in discussione le fondamenta della società a cosiddetto capitalismo avanzato. 

Per fare questo occorre necessariamente riappropriarsi delle nostre vite, dei meccanismi della produzione, anche irrompendo criticamente nelle assise decisionali a tutti i livelli, regionale, nazionale ed internazionale per rivendicare, ovunque, la necessità che a decidere sulla vita e sul futuro debbano essere le comunità locali e non una ristretta élite politica succube della tecnocrazia e del profitto. 

C’è una grande indifferenza che rema contro il cambiamento che vorremmo agire. Movimenti spontanei come Fridays For Future, composto da tanti ragazzi e ragazze, può essere una speranza nuova, uno slancio verso la riappropriazione del futuro. Il punto di non ritorno del cambiamento climatico, a detta della comunità scientifica, è previsto per il 2030. Abbiamo dunque poco tempo e non possiamo più aspettare cambiamenti lenti e macchinosi. Abbiamo bisogno di risposte forti ed immediate che vadano oltre le strategie delle istituzioni europee, regionali e locali ridando potere decisionale alle comunità. 

Anche la questione dell’acqua, la cui gestione è stata privatizzata e affidata a grosse multinazionali, vede contrapposti i movimenti sociali e alcuni piccoli comuni meridionali come Riace e Saracena in Calabria o grandi comuni come Napoli in Campania. L’acqua deve essere rimessa al centro del dibattito e di una possibile piattaforma condivisa. Più acqua è meno pagghjett! Più acqua e meno fuffa, meno fumo. Non è più il tempo delle chiacchiere, della speranza ma dell’azione unitaria ed incisiva. 

D’altronde la “stella” dell’acqua di questo governo a guida pentastellata pare quasi definitivamente spenta, ed il disegno strategico per la gestione del servizio idrico nel Mezzogiorno voluto da questo governo è lì a dimostrarci la sua reale volontà. 

Ma questo governo non si “limita” soltanto a spegnere la luce a qualche stella ma va oltre. 

La proposta avanzata dall’attuale Governo sul regionalismo differenziato si inserisce a pieno titolo dentro questa pratica predatoria. 

L’accordo con le regioni Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna acuirà ancor di più il divario tra Nord e Sud, già pesantemente aggravato dalla modifica del titolo V della Costituzione e dall’introduzione del federalismo fiscale, e metterà ulteriormente a rischio i già precari servizi pubblici nell’intero Meridione. Sempre meno fondi sono disponibili – e lo saranno in futuro – per le ristrutturazioni o la costruzione di edifici pubblici da adibire a scuole e ospedali, ad esempio. Un modello fiscale che dirotta la maggior parte delle risorse laddove esistono già servizi efficienti, crea una forbice qualitativa nelle prestazioni sempre più evidente tra Nord e Sud del Paese. Questo è il motivo dei viaggi della speranza per studio, lavoro e salute: qui non sono garantiti tal diritti. 

I processi di migrazione verso i nord (spesso senza ritorno) stanno trasformando demograficamente il nostro paese ed il Sud in particolar modo. Le contrazioni demografiche più rilevanti infatti si registrano proprio nelle regioni meridionali: una diminuzione al Sud di 145 mila abitanti solo nel biennio 2016-2017 è un dato che parla da solo. 

La sostanziale continuità politica tra questo governo e quello precedente diventa ancora più chiara se spostiamo l’attenzione sul Testo unico della forestazione (TUF), voluto dal governo Gentiloni e che il governo gialloverde aveva promesso di abrogare ma di cui si appresta a varare i decreti attuativi. Un testo che permetterà il disboscamento arbitrario di boschi e foreste (cosa che tra l’altro già avviene alle nostre latitudini) un impoverimento del suolo boschivo del nostro paese al solo scopo di alimentare le centrali a biomasse, ormai riconosciute come nocive ed ecologicamente insostenibili. 

Questa continuità politica tra vecchio e nuovo governo è diventata ancora più palese nelle scelte strategiche che hanno interessato la Puglia dove l’arrivo di tre gasdotti contraddice totalmente la tanto sbandierata volontà del M5S di operare scelte strategiche per la riconversione energetica immediata dalla fonte fossili a quelle veramente sostenibili. 

La lotta contro il gasdotto TAP rappresenta uno snodo fondamentale per il sud perché emblematico delle contraddizioni tra estrattivismo e politiche energetiche ecocompatibili. Questa esperienza fa da cornice ad un territorio come quello pugliese dove pesa come un macigno la presenza mortifera dell’Ilva di Taranto, una produzione di malattia e morte che miete vittime tra i lavorati, cittadini e i loro figli e che ha spinto tutta la comunità a scendere in piazza lo scorso 4 maggio. 

Lo stesso si può dire per centrali e fabbriche calabresi (Mercure, Crotone, Gioia Tauro, Marcellinara, Marlane, solo per menzionarne alcune) che dimostrano che tutti gli interventi di sviluppo industriali hanno segnato un “punto di non ritorno” negativo – in termini di tutela della salute e del territorio – per tante comunità locali vittime dell’attacco espropriatorio del capitale. 

La stessa agricoltura, potenziale fonte di reddito e forma di autotutela dei nostri territori, è da decenni sotto l’attacco della monocoltura estensiva che sta progressivamente soppiantando le attività dei piccoli produttori e delle medie aziende modificando, spesso irrimediabilmente, l’assetto sociale, economico ed ambientale dei territori. 

Tutto ciò pone al centro dell’esistenza di ogni singolo individuo e di intere comunità la necessità esistenziale drammatica di dover scegliere tra l’avere uno straccio di reddito da lavoro e la possibilità di tutelare la propria salute, quella delle proprie famiglie e il proprio territorio. 

Dentro il quadro sociale tracciato estremamente complesso, quali sono le nostre proposte? Come pensiamo di disarticolare il pensiero dominante, incepparne i meccanismi di riproduzione e creare un contropotere diffuso? 

L’attenzione della politica istituzionale a queste problematiche inizia in modo timido a investire una parte dell’Europa ma sono segnali del tutto insufficienti. L’avanzamento in Europa dei Verdi è sintomatico certamente di un buon livello di sensibilità sulle tematiche ambientali che inizia a diffondersi tra le comunità. Rispetto a questo però resta in capo al nostro movimento la capacità di incidere in maniera più radicale per mutare lo stato delle cose presenti: dobbiamo essere in grado di argomentare, ad esempio, che al Sud una politica davvero “verde” è solo quella che possono fare le comunità che agiscono dal basso nei territori e non certo politicanti di partito abituati a riscaldare gli scranni dei vari parlamenti e commissioni – loro, è bene ricordarlo, continuano ad essere parte del problema. 

A tal proposito, la nuova campagna “Giudizio Universale” (http://giudiziouniversale.eu/) è un primo tentativo che prova ad unire movimento e comunità resistenti con un unico obiettivo, quello di portare davanti a un tribunale lo Stato italiano per non aver agito di fronte allo sconvolgimento climatico ed inchiodare alle proprie responsabilità le istituzioni italiane. 

Se le lotte ecologiste inglobano tutta una miriade di resistenze – piccole ma diffuse sul territorio – occorre allora avere la capacità di coagularle riprendendoci potere decisionale e capacità progettuale, praticando l’autonomia dei corpi e dei territori in maniera non gerarchica ma organizzata. 

Bisogna uscire da un sistema che si basa sullo sfruttamento senza fine delle risorse naturali e al contempo avere la capacità di diradare le nubi ingannevoli della green economy, coscienti della capacità di cooptazione e sussunzione del capitale, della sua mutevolezza e capacità di adattamento ai nuovi contesti sociali. 

Alla potenza del capitale in crisi non possiamo contrapporre strutture rigide e sclerotizzate, relazioni autoritarie e modalità politiche ferme al passato. 

Negli anni il Sud è diventato la grande pattumiera d’Europa, ricevendo rifiuti dal Nord Italia e dal Centro Europa in maniera illegale e pagando per trasferire altrove i rifiuti urbani ingestibili. I territori del Sud sono ancora zone da sfruttare e conquistare: estrazione di petrolio e gas, costruzioni di centrali termiche e inceneritori, servitù militari, sfruttamento delle risorse idriche, turistificazione, cementificazione. È attraverso le “grandi opere”, che hanno alimentato la falsa illusione della ricchezza e del benessere, che i nostri territori si sono impoveriti ancora di più. 

Tali logiche predatorie sono del tutto identiche a quelle che attraversano i grossi territori insulari gravati da servitù militari (come il Muos in Sicilia e la pesantissima situazione del territorio militarizzato in Sardegna) che trasformano le nostre isole in immense basi da cui partono gli attacchi militari che possono colpire velocemente altri popoli di altri paesi. 

Da non sottovalutare, poi, il ruolo strategico del territorio italiano negli equilibri geopolitici che si giocano nel Mediterraneo, tornato ad essere il centro nevralgico delle rotte commerciali da Est a Ovest. 

I tentativi di controllare flussi di merci e di persone sembrerebbero alla base degli ingenti investimenti in infrastrutture, installazioni e programmi di ricognizione che alludono a scenari da guerra fredda. 

Va sottolineato inoltre il ruolo criminale dell’Unione Europea che deporta le sorelle e i fratelli migranti in Libia, strozza l’economia soprattutto dei paesi del sud dell’Europa (PIGS) con le sue politiche neoliberiste e autoritarie e devasta interi territori con le sue politiche ambientali, espressione del profitto. 

Per questo motivo non è più ammissibile che le soluzioni per il nostro benessere vengano prese altrove propinandoci ricette sempre uguali e disastrose. Tutte “soluzioni” proposte dalle istituzioni che hanno sempre guardato al profitto dei grandi gruppi industriali del Nord e che lasciano – oggi come ieri – povertà, miseria e marginalità sociale tra le nostre comunità. 

È giunto il momento di riaffermare che sulle nostre vite e sui nostri territori decidiamo noi! 

Le ricette di partiti, governo e istituzioni sono chiare e parlano di un ridicolo reddito di cittadinanza, di flat tax, di sicurezza, di chiusura dei porti contro i migranti. Le loro ricette sono comprensibili e, come dimostrano le scorse europee, sono state votate dalla gente, spostando a destra l’asse politico del vecchio continente. 

Ma quali sono le nostre piattaforme? Le strade che vogliamo iniziare a tracciare per risolvere i problemi quotidiani di coloro che vivono “in basso” e non vanno certo a votare? Di coloro che vivono nei nostri quartieri, nelle nostre città, che lavorano nei call center e negli impianti inquinanti e tossici? 

Partendo da un nuovo patto mutualistico fra le lotte meridionali ambientaliste, per il lavoro e per il diritto alla casa, alla salute, al futuro, dobbiamo fare uno sforzo di sintesi, individuare quali sono le nostre chiavi di lettura condivise sul modo in cui il potere economico genera sfruttamento, violente devastazioni della natura per garantirsi profitti e autoriproduzione. 

Dobbiamo trovare dei minimi comuni denominatori a partire dai quali costruire coalizioni ed essere in grado di inventare soluzioni comprensibili alla “nostra gente”; in altre parole dobbiamo uscire dall’attuale condizione di invisibilità in cui ci siamo rifugiati ma anche auto-reclusi. 

Per fare questo è necessario dotarsi di strumenti comunicativi collettivi che ci permettano di rendere pubbliche e praticabili le lotte territoriali. 

Partendo dalla tutela della salute e contro i grandi impianti nocivi e le diverse forme in cui si palesano le devastazioni ambientali, dobbiamo avere la capacità di dar vita ad un movimento che contrasti le logiche del profitto e del capitalismo predatorio, la politica istituzionale che ne è asservita e ciò che ognuno/a di noi riproduce di questi modelli. 

Rivendicare con forza la riprogrammazione dei fondi pubblici affinché restino a sud i finanziamenti destinati ad opere inutili e dannose, non scelte dalle popolazioni locali e vengano destinate a finanziare opere finalmente utili e scelte dai territori, per interventi mirati alle bonifiche dei siti inquinati, per la messa in sicurezza idrogeologica delle regioni del sud e per la realizzazione di opere pubbliche prioritarie per le nostre comunità locali come scuole, presidi ospedalieri e trasporti pubblici locali. 

Un’estensione della mappatura ministeriale dei Siti d’Interesse Nazionali alle tante emergenze territoriali ci permetterebbe di avere un quadro più completo ed uno strumento utile per costruire mobilitazioni territoriali dal basso che rivendichino, qui e subito, i tanto sbandierati e mai effettuati interventi di bonifica. 

Partendo poi da un’autocritica sulle forme in cui ci organizziamo e ci muoviamo e guardando anche all’esperienza dei compagni honduregni del Copinh che ci hanno parlato di consigli indigeni e di interventi di lotta e organizzazione a livello territoriale e dipartimentale, dobbiamo essere capaci di generare una massa critica tale da riuscire a trasformare le nostre vite e ribaltare il sistema che ci sovrasta. 

Vogliamo, pertanto, provare a ridare centralità alle forme della partecipazione diretta e attiva, all’autogoverno dei territori come antidoto alle pratiche capestro che hanno caratterizzato per decenni le politiche regionali e nazionali; rivendicare, qui e ora, la necessità che a decidere sulla vita e sul futuro debbano essere le comunità locali e non una ristretta élite politica succube della tecnocrazia e del profitto. 

Nell’ottica propria di ridare centralità ai nostri territori, occorre ribadire i diritti delle persone migranti – in una epoca di razzismo, antizingarismo e xenofobia – e al tempo stesso porre la parola fine all’enorme emorragia demografica del sud, frutto dell’emigrazione in massa di giovani e adulti costretti ad abbandonare le nostre terre per studio, lavoro, salute e, oggi sempre più spesso, per trovare condizioni ambientali che non li condanni a morte certa come nei casi emblematici di Taranto o della Terra dei Fuochi in Campania. 

Interrogarsi infine su come rendere ancora più chiare, forti e visibili le nostre prassi di lotta e partecipazione, come incidere nei meccanismi di scelta politico-istituzionali fino ad invertire i rapporti di forza e costruire nuovi piani di incompatibilità. 

Questa ci sembra la sfida politica collettiva da cogliere e sviluppare nei prossimi appuntamenti meridionali e nazionali nella convinzione che, partendo dal radicamento territoriale, dal fare rete, dalla ricerca di forme organizzative nuove e modalità di coalizione, le nostre comunità in lotta possono finalmente vincere. 

ALCUNI PUNTI CONDIVISI SUI QUALI LAVORARE 

– Centralità delle contraddizioni capitale/natura e capitale/lavoro. 

– Resistenza alle grandi opere e a tutte le forme di sfruttamento e devastazione ambientali. 

– No allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, dell’uomo sulla donna e dell’umanità sull’ambiente. 

– Processi decisionali inclusivi e prospettive di campagne unitarie di lotte nel rispetto della piena autonomia decisionale dei territori. 

– Dotarsi di mezzi e metodi di comunicazione interna ed esterna efficaci. 

– Ridare centralità e protagonismo alle lotte meridionali in un’ottica chiaramente unitaria con le altre realtà del Paese. 

ALCUNE PROPOSTE SINTETICHE 

– Mappatura delle criticità ambientali a partire dai SIN (ma da estendere ovviamente a quelle non mappate) come strumento unitario e operativo per costruire una campagna di mobilitazione per la richiesta delle bonifiche sui nostri territori e, al contempo, come strumento di inchiesta che possa restituire una fotografia sullo lo stato reale in cui versano i nostri territori. 

– Campagna contro il Testo Unico della Forestazione 

– Campagna Giudizio Universale (http://giudiziouniversale.eu/) 

– Costruzione di una piattaforma e di un e programma minimo condiviso (difesa del territorio, ambiente, salute, estrattivismo e energia, lavoro). 

– Costruzione di una strategia comunicativa e di pratica del conflitto attraverso alternative concrete (agricoltura contadina, turismo responsabile e sostenibile, cooperazione dal basso, assemblee territoriali, mutuo aiuto) partendo dall’analisi delle cause sistemiche che producono i disastri sui nostri territori e promuovendo linguaggi capaci di interessare quelli che consideriamo i nostri interlocutori privilegiati, i nostri compagni di strada. 

PROSSIMI APPUNTAMENTI MERIDONALI 

11/06 – Manifestazione solidarietà Mimmo Lucano (Locri) 

15/06 – Assemblea No Inceneritore (Marcellinara) 

21/06 – Manifestazione regionale NO MUOS (Catania) 

22/06 – Assemblea Nazionale 23M (Roma) 

25-28/07 – Trinacria Camp (Messina) 

26/07 – Corteo No Ponte (Messina) 

02-05/08 Campeggio No Muos 

10-12/08 – Campeggio Malerba (Sila Piccola – Catanzaro) 

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