La retorica del “cessate il fuoco”: Israele non ferma la politica coloniale
Nonostante il cessate il fuoco, la polizia israeliana continua ad arrestare manifestanti palestinesi.
Le proteste esplose in risposta agli sfratti nel quartiere di Sheikh Jarrah da parte delle forze di sicurezza israeliane hanno portato a undici giorni di scontri tra palestinesi e Stato ed esercito di Israele. Uno scontro chiaramente impari, senza esclusione di colpi, che ha portato a centinaia di morti. Ma dopo il cessate il fuoco di venerdì 21 maggio, la polizia israeliana continua a infierire e i palestinesi non stanno a guardare.
Gli arresti da parte di Israele
Lunedì 24 maggio la Polizia israeliana ha eseguito una serie di arresti nei confronti di palestinesi, residenti nei territori occupati dallo Stato sionista, che hanno preso parte alle recenti proteste contro il sistema di apartheid israeliano e il suo colonialismo. Migliaia di ufficiali del MAGAV (Polizia israeliana) e di brigate di riserva hanno iniziato una campagna di detenzione su larga scala che ha portato all’arresto di più di 500 giovani palestinesi.
«Operazione legge e ordine» (Law and Order) – così è stata chiamata – per “regolare i conti” con chi non è stato rispettoso dell’autorità israeliana. La stessa che occupa illegittimamente il territorio palestinese da più di 70 anni.
Secondo quanto riferito, le autorità hanno preparato una «banca dati di obiettivi» e raccolto prove per consentire una rapida presentazione di accuse in tribunale: partecipazione alle proteste contro la polizia di Israele, contro gli sfratti forzati a Sheikh Jarrah e le invasioni alla moschea Al–Aqsa. Tutte documentate dall’unità informatica Lahav 433, l’equivalente israeliano dell’FBI.
Come sempre, Israele – sostenuto dalle maggiori potenze internazionali – si difende sostenendo di voler semplicemente ristabilire l’ordine e fermare i rivoltosi e i criminali coinvolti negli attacchi delle scorse settimane. Nel frattempo, continua a operare espropri di terreni e case. Oltre 1550 sono i palestinesi – cittadini dei territori occupati da Israele – arrestati dal 9 maggio.
I palestinesi, dal canto loro, continuano a non piegarsi alle intimidazioni e a non abbassare la guardia.
Ribaltare la narrazione
In queste settimane abbiamo visto tutti le immagini dei missili su Gaza, i palazzi crollare, gli sfollati e i bambini nelle strade piene di sangue. Tanti morti e feriti. Ma abbiamo visto anche politici italiani schierarsi dalla parte dello Stato sionista di Israele e media nazionali ribaltare scientificamente l’ordine della realtà: raccontano di uno Stato (Israele) attaccato dai terroristi (palestinesi). Senza dare un contesto storico a quanto avviene. Senza ricordare che Israele ha occupato con la forza i territori palestinesi fondando uno Stato coloniale.
In questi giorni sono state fatte accurate ricostruzioni su chi ha iniziato e su chi ha lanciato più missili. Sostenendo che – in egual misura – i due popoli stessero subendo un attacco. Ma come si può parlare di egual misura quando da 70 anni Israele attua una politica di oppressione nei confronti della Palestina? Con il suo equipaggiamento militare – tra i più forti al mondo – porta avanti politiche sulle occupazioni, gli espropri di case e terreni, i bombardamenti e gli embarghi; cercando di sottrarre il diritto di vivere e di determinarsi di un intero popolo.
L’ipocrisia del «cessate il fuoco»
Qualche giorno fa è stato dichiarato il cessate il fuoco. Ma la mossa ha tutta l’aria di una tregua, una breve sospensione dei combattimenti tra le due parti. Chi esulta sostenendo che si è arrivati alla fine del conflitto, dovrebbe ricordarsi che non è mai esistito un conflitto arabo-israeliano. In Palestina si sta consumando un massacro a senso unico, causato dall’occupazione e dall’apartheid sionista, che terminerà solo quando il popolo palestinese avrà raggiunto la sua piena autodeterminazione.
Chiedere il cessate il fuoco da “entrambe le parti” significa avallare la narrazione in cui scompaiono oppressi e oppressori dietro la retorica pacifista del “no alla guerra”. Non c’è nulla di più ipocrita dell’equidistanza, dietro cui la comunità internazionale nasconde il totale appoggio al sionismo e allo Stato di Israele.
Tocca a noi schierarci, stare al fianco di chi lotta per i propri diritti, per la casa, per l’autodeterminazione, per una vita fuori dallo sfruttamento e dall’oppressione.