Ripartenza della scuola a settembre: il piano è non avere un piano
Leggendo le linee guida del Piano Scuola 2020-2021 – che in teoria avrebbe dovuto fornire le direttive per la riapertura in sicurezza delle scuole – sembra che il piano sia non avere un piano.
La ministra Azzolina, dopo mesi di tira e molla e incertezze sulla maturità, tiene sulle spine studenti e docenti anche rispetto alla ripartenza della scuola a settembre. Qualche giorno fa, aveva finalmente emanato il testo contenente le linee guida.
Il testo iniziale prevedeva lezioni il sabato, frequenza a turni differenziati, organizzazioni delle classi in più gruppi di apprendimento, con lezioni di 40 minuti. La didattica a distanza sarebbe rimasta solo in parte e solo per le scuole secondarie di secondo grado.
Aveva, inoltre, riconfermato la sua passione per lo scarica barile, appellandosi alla cosiddetta autonomia scolastica. La responsabilità sulla gestione della ripartenza sarebbe spettata ai singoli dirigenti scolastici.
Malcontento e proteste hanno determinato il dietrofront
Le linee guida dettate dal Governo per la ripartenza della scuola avrebbero creato non pochi problemi alle scuole, soprattutto quelle collocate al Sud e in Sicilia. E, infatti, da subito, genitori e professori si sono mobilitati alimentando una decisa polemica mediatica che ha costretto la Ministra a cambiare idea.
Con la necessità di ridurre gli studenti per classe, infatti, sono sorte spontanee le preoccupazioni per lo stato delle strutture, ritenute inadatte e inefficienti già prima dell’emergenza Covid. Con le misure di distanziamento tra i banchi il numero delle classi pollaio sarebbe aumentato drasticamente e, soprattutto nelle grandi città, la carenza di spazi avrebbe costretto alla creazione di doppi turni.
Inoltre, la divisione delle classi, il maggiore controllo necessario agli ingressi – che adesso dovranno essere scaglionati – renderebbe imprescindibile il potenziamento dell’organico, sia del corpo docente sia del personale ausiliario. Alla questione assunzioni, però, non si è fatto minimo accenno.
In ogni caso, alla fine, come dicevamo, è arrivato il dietrofront. Gli alunni dovranno mantenere la distanza di un metro che però non verrà calcolata tra banco e banco, ma da bocca a bocca. In questo modo – si ipotizza – si potrà ridurre di molto il problema dello spazio in classe. Ma ancora si naviga a vista sulla rotta delle ipotesi. Di certo non c’è ancora nulla.
La situazione delle scuole siciliane
In piena emergenza sanitaria, si sta presentando il conto di anni e anni di gestione fallimentare del mondo della formazione e dei continui tagli, soprattutto in territori abbandonati a sé come la Sicilia. Edifici fatiscenti – spesso si tratta di appartamenti residenziali adattati a scuole – , numero di docenti insufficiente, classi pollaio.
La non curanza degli edifici scolastici è storia vecchia. La lista di richieste di messa a norma dei plessi è lunga; molto corta è invece quella degli interventi completati. Da anni genitori, docenti e alunni denunciano – inascoltati – queste mancanze.
In Sicilia si contano 717.200 studenti, con una media di 19,8 alunni per classe – con forti differenze tra le scuole di provincia e quelle delle grandi città, dove il numero di alunni per classe è drasticamente superiore. Già in condizione di “pace” le strutture risultavano insufficienti a contenere il numero di alunni; adesso è emergenza dichiarata.
Ai problemi strutturali si aggiungono anche quelli di collegamento. Studenti e professori pendolari, infatti, se già prima dell’emergenza erano costretti a viaggiare in condizioni pietose, con i tagli delle linee e le riduzioni di posti disponibili si ritroveranno a fronteggiare ulteriori difficoltà.
Pochi spiccioli per la ripartenza della scuola
Oltre al miliardo e mezzo previsto nel decreto per la ripartenza, pare che verrà stanziato, per la scuola, un altro miliardo. I Presidenti di Regione e i giornalisti amici ne parlano come di un ottimo risultato. La verità è che 2,5 miliardi – sempre se il Ministro Gualtieri da il via libera – sono spiccioli se si pensa alle condizioni in cui versano le scuole. Spiccioli che non possono mai compensare anni e anni di tagli alla formazione pubblica. Sicuramente insufficienti a mettere al pari gli istituti siciliani con quelli delle regioni del Nord.
Per poter davvero rilanciare la scuola pubblica dell’isola – o anche solo per ridurre il gap che esiste tra la Sicilia e, ad esempio, la Lombardia – servono investimenti mirati. Non linee guida e stanziamenti generali che non tengono minimamente conto delle differenze territoriali. E a tal proposito, cogliamo l’occasione per ribadire che la stessa d.a.d. (didattica a distanza, che ha tenuto impegnati studenti e docenti nei mesi dell’emergenza) ha creato disuguaglianze. In Sicilia, l’acceso al diritto allo studio è stato fortemente messo a rischio, visto che il 44% delle famiglie siciliane non possiede un computer.
Il colpo di grazia alle scuole siciliane
Sono stati stilati piani dettagliati per la riapertura dei poli produttivi, dei ristoranti, del turismo. La scuola, invece, è stata abbandonata a se stessa. Com’è possibile che non la si tratti come ambito di centrale importanza insieme alla sanità? Norme confuse, pochi soldi. Questo è l’approccio dell’attuale governo – in perfetta continuità con quelli precedenti, a prescindere dal colore partitico.
Non basta mettere le toppe durante l’emergenza. Ci vuole un piano di investimenti mirato a livello territoriale. Serve abolire la legge 107 e permettere a tutti gli esiliati e le esiliate di tornare a insegnare nella propria terra. Bisogna istituire e adattare gli edifici allo svolgimento del dopo scuola, garantendo questo diritto anche ai bambini siciliani.
Ma evidentemente non è questo il piano dello Stato Italiano per la Sicilia. Questa emergenza ce lo ha solo ricordato.