Salvini, la Sicilia e la retorica (coloniale) dell’antimafia
Il 25 aprile Salvini è stato in Sicilia. È passato da Bagheria, Corleone, Caltanissetta e Monreale. È venuto in occasione della festa della liberazione, dice “questa giornata va riempita di un significato nuovo, se liberazione deve essere che sia dalla Mafia, non partecipo al derby fascisti-comunisti”. Ovviamente se si parla di liberazione dalla mafia il luogo prescelto non poteva non essere la Sicilia. Un tour pensato in grande insomma, nella “terra della criminalità organizzata”.
Quello dell’antimafia è sempre stato un tema caro a tutti e che tutti unisce. La destra, la sinistra, il centro, il movimento5stelle, le associazioni vicine alla chiesa e chi più ne ha più ne metta. Ognuno lo fa a suo modo ma il tema di fondo resta: la mafia si combatte con più Stato e rispetto della legge. Siamo, infatti, in presenza di un partito unico che in Sicilia ha rappresentato e rappresenta – anche solo per invocazione e immaginario – l’imposizione dello Stato nei territori, la necessità della sua presenza, della sua forza affinché le cose procedano per il meglio. Non a caso a Corleone il Ministro dell’Interno, con tanto di sfilata su tappeto rosso, ha inaugurato un commissariato. E quindi tutto torna. Lotta alla mafia uguale Sicilia uguale Corleone. È come se, per certi aspetti, si provasse ancora a mantenere un racconto vecchio della mafia, non aggiornato e legato all’uomo con la coppola e la lupara in mano. Come se questo potesse servire, nei momenti giusti, come giustificazione per poter riempire le nostre strade di militari e polizia. Come se questo potesse servire a continuare con la pantomima per cui noi abbiamo bisogno di qualcuno che arrivi da fuori a salvarci.
Si continua a parlare della Sicilia come se ci fosse ancora la mafia delle stragi, delle bombe e degli attentati. Come se il tentativo fosse, quello di concentrare tutto qui, come se la mafia fosse rimasta qui, nella terrà dove queste cose, sì, sono realmente avvenute, ma trent’anni fa. Nel frattempo la mafia si è fatta Stato (o forse lo è sempre stata) e con lo Stato ha gestito e gestisce i più grossi affari: industrie, grandi opere, commercio. Ha gestito e gestisce i centri nevralgici dei flussi economici e finanziari. E questi non sono mica in Sicilia. Se Salvini vuole fare la lotta alla mafia parta dal nord ricco, restituisca i 49 milioni rubati o parta da quelli del suo partito che dalla mafia si prendono le mazzette. Sul caso Siri Salvini fa finta di niente, quando se ne parla cambia discorso. Resta il fatto che un sottosegretario della Lega si è preso 30 mila euro per cercare di introdurre norme che garantissero un sistema di incentivi per favorire le imprese del mini eolico di Arata socio di Vito Nicastri “il re dell’eolico” per cui i pm di recente hanno chiesto 12 anni di carcere per concorso in associazione mafiosa e intestazione fittizia. Che la smetta di venirci a raccontare che lì al nord va tutto bene solo per poter promettere di far funzionare la Sicilia come Lombardia e Veneto. A noi non interessa. Ne abbiamo abbastanza dei finti liberatori del nord, adesso vogliamo liberarci da soli e veramente.