La sanità in Sicilia
In questi ultimi decenni l’Italia, al pari di quanto è successo in molti paesi dell’area occidentale, ha combattuto la crisi economica tagliando drasticamente la spesa destinata alla salute pubblica, la voce più corposa del bilancio nazionale. A metà ottobre 2019 a Palazzo dei Normanni, sede dell’Assemblea Regionale Siciliana, il forum Sanità Sicilia si è concluso con la pubblicazione di un rapporto, intitolato Meridiano Sanità, dove si ricorda che la spesa sanitaria costituisce la porzione più rilevante della spesa pubblica – poco al di sotto del 50% della spesa complessiva.
A fronte di un incremento dei costi di circa 2 miliardi l’anno, lo Stato riduce di anno in anno il finanziamento ordinario, con il risultato che molti ospedali e pronto soccorso, specie in Sicilia, sono costretti a chiudere con le immaginabili conseguenze per i malati costretti a sempre più costosi e rischiosi trasferimenti. Dei tagli generalizzati ai servizi pubblici, quello alla sanità mette a rischio la salute delle persone, in particolare nelle fasce di reddito più basse e nelle aree economicamente più deboli, come la Sicilia.
Cosa è successo?
Quanto è avvenuto nel sistema sanitario nazionale in questo ultimo decennio è la vera causa delle pessime condizioni in cui versa la sanità siciliana. Da tempo i governi che si sono succeduti seguono una politica sanitaria il cui esito è stato quello di «sgretolare progressivamente il Sistema Sanitario Nazionale, l’opera pubblica costruita a tutela della salute delle persone» (affermazione del presidente della fondazione GIMBE); il che ha portato nel decennio 2010-2019 a un definanziamento del Sistema Sanitario Nazionale di oltre 37 miliardi, a fronte del forte aumento del fabbisogno. Tali politiche hanno portato allo sviluppo della sanità privata, i cui costi non sono sostenibili da chi appartiene alle fasce di reddito più basse. In Sicilia, soprattutto in ragione del pessimo contesto ambientale, lo “sgretolamento” del sistema sanitario pubblico è sempre più drammatico e causa prima di un altissimo numero di decessi.
Non solo questione di tagli…
Il problema della sanità in Sicilia non è, però, soltanto una questione di tagli, ma ha origine nella condizione di subalternità dovuta al rapporto “coloniale” con le regioni più forti (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Lazio). Per fare un esempio, il meccanismo che regola il sistema sanitario nelle singole regioni è concepito in modo da assicurare lo sviluppo solo ad alcune regioni del Centro-Nord, aggravando progressivamente le già precarie condizioni della sanità nelle aree più povere. Il meccanismo funziona così: il Servizio Sanitario Nazionale riconosce a ogni cittadino la possibilità di curarsi in regioni diverse dalla propria; a ciò si dà l’ambiguo nome di “mobilità”.
Il meccanismo è stato congegnato in modo che mentre la mobilità attiva finisce col rappresentare un credito delle regioni nei confronti del Fondo Sanità, quella passiva rappresenta un debito. Ciò che a prima vista sembrerebbe un privilegio offerto a ogni cittadino italiano, a cui è consentito di spostarsi verso regioni dove la sanità è più efficiente, nella realtà costituisce una condanna definitiva per le regioni meno efficienti e attrezzate. Conseguentemente, sulla base degli indici regionali ricavati dal rapporto tra mobilità attiva e passiva, nel 2019 la Lombardia risultava creditrice dal Fondo Sanità di 804 mln di euro, mentre la Sicilia ne era debitrice di 237 mln di euro (fonte: rapporto GIMBE 2019).
Per di più, i pochi siciliani che riescono ad approfittare della mobilità attiva, avranno da sostenere i costi degli spostamenti (aerei, treni, alberghi, eccetera). Alla fine le regioni con strutture più carenti finiscono con l’essere definanziate nei confronti di quelle dotate di strutture più efficienti; gli squilibri tra una regione ed un’altra non solo non saranno mai risolti, ma si sono andate accentuandosi col passare degli anni. Come dire, solo per citare un caso specifico, che l’efficienza del sistema sanitario lombardo è finanziata dalla Sicilia. Ne è prova il fatto che nel 2018, a fronte di una spesa sanitaria media pro capite di 2.452, al nord questa raggiungeva i 2.800 euro mentre in Sicilia si riduceva a 2.128.
A completare il quadro, il costo dei ticket sanitari e farmaceutici è più alto in Sicilia che in Lombardia. Il superticket della sanità rappresenta una vera e propria tassa, in considerazione che il suo valore supera il costo del servizio che viene reso al malato. Ticket e superticket negli ultimi cinque anni sono cresciuti del 10%, con le conseguenze facilmente immaginabili sulle fasce più povere della popolazione, che di fatto non hanno più accesso ai servizi sanitari. Se questa era la condizione iniziale, adesso l’epidemia da coronavirus sta mandando a pezzi l’intero sistema sanitario pubblico siciliano.
L’emergenza e il governo regionale
Il 7 marzo, con una manovra alquanto ambigua, sono state lasciate partire dalla Lombardia treni con decine di migliaia di passeggeri diretti al Sud. In Sicilia ne sono arrivati oltre 35 mila. Strano che, con tutte le cautele che si erano già prese, il Governo si sia lasciato “sfuggire” una notizia che ha messo tutti in allarme consentendo un esodo incontrollato, di cui adesso cominciano a vedersi gli effetti. Non ha senso gettar la colpa su chi ha deciso di tornare a casa, ma solo su coloro che hanno permesso una fuga senza controlli nè in partenza nè all’arrivo e che ora corrono ai ripari affidandosi all’esercito. Come mai il governatore Musumeci se ne è stato muto nei giorni dell’esodo e solo quando tutto era compromesso ha cominciato la sua ipocrita farsa? «Negli ultimi dieci giorni» – dichiarava Musumeci a metà marzo – «sono entrate nell’isola oltre 31 mila persone. Tutto questo ci preoccupa». Fa bene, presidente, a preoccuparsi; ma perchè lo comunica con un ritardo così vistoso? Come se non bastasse, dopo due settimane di rientri incontrollati, decide di chiudere i varchi, provocando pericolosi sovraffollamenti negli imbarcaderi di Villa San Giovanni, stracolmi di gente disorientata e incredula. Nelle mani di politici del genere l’isola è diventata la pattumiera di un’Italia senza scrupoli.
Menzogne, inefficienze e mancanze
Qualche mese fa l’assessore alla Sanità si vantava degli 83 milioni di avanzo registrati dalla sanità. Peccato che dimenticava che questa somma è calcolata al netto delle centinaia di milioni che la Regione aveva pagato per la mobilità esterna e per alimentare la sanità privata. Non stupisce se adesso mancano dispositivi di protezione individuale, e non solo alla gente comune ma anche agli operatori sanitari; certo, qualche tenda è stata montata qua e là, ma tutte sono prive delle apparecchiature necessarie. Sandro Tomasello, coordinatore del sindacato CIMO di Palermo, ancora i primi di marzo denunciava la catena di carenze e incompetenze che mettono a rischio grave la salute dei siciliani, una catena che si è fatta enorme fin dalla comparsa dei primi contagiati. Così adesso, per nascondere il fallimento, ci raccontano che in Sicilia i casi di contagio sono “solo” poche centinaia; nascondono, però, che a causa della mancanza dei reagenti per i tamponi numerosi sintomatici sono stati rimandati a casa e, pertanto, non finiscono nel computo dei contagiati.
La forza della sanità privata
Giorni fa Musumeci requisiva un albergo di 1.000 posti per predisporlo all’accoglimento dei malati; aveva (forse) dimenticato che la sanità privata dispone di 4.200 posti d’ospedale, che certamente sarebbero più adatti ad affrontare l’epidemia. Nell’ottobre scorso, al forum sulla sanità siciliana, Musumeci ebbe a dichiarare: «Noi crediamo che pubblico e privato debbano lavorare in un contesto di sana competizione senza che il Governo della Regione faccia sconti all’una o all’altra». Dunque, quando aveva requisito l’albergo più che al benessere dei malati pensava a non intaccare gli interessi dei privati. Allora Musumeci gli sconti li fa, eccome, ma soltanto alla sanità privata che, lautamente finanziata e sponsorizzata dalla Regione e dall’ARS, si guarda bene dal fornire i propri posti letto a persone infette che, per di più, non pagherebbero un soldo. La forza economica della sanità privata siciliana è uno scandalo che grida vendetta: «In Sicilia la filiera privata della salute registra un fatturato complessivo pari a 3,4 miliardi di euro, un valore aggiunto di 2,1 miliardi, e occupati pari a 63 mila unità» (fonte: “Sanità informazione” 25/10/2019).
Signor Musumeci, requisisca immediatamente i posti letto e le attrezzature in dotazione alla sanità privata e la smetta di piagnucolare se Roma manda mascherine di carta velina; siamo colonizzati noi siciliani, lo sappiamo bene, ma non ci si metta pure lei ad avvilirci con le sue menzogne e le sue lacrime di coccodrillo.