Sburocratizzazione? Una scusa per fare i loro porci comodi
Uno dei temi che per la Sicilia non diventa mai inattuale è sicuramente quello dei cantieri: cantieri in progetto, cantieri mai aperti, cantieri mai chiusi. La Sicilia stessa sembra ormai essere un grande cantiere abbandonato.
Dentro alcuni di questi rimangono rinchiuse le possibilità per la Sicilia di avere infrastrutture e servizi estremamente necessari per il territorio.
Che fine ha fatto il Patto per la Sicilia?
Ce li ricordiamo bene gli oltre mille cantieri che si sarebbero dovuti aprire dopo la sottoscrizione del Patto per la Sicilia. Ed echeggiano ancora le parole dell’ex governatore Crocetta che rassicurava sulla velocità con cui questi cantieri sarebbero partiti. È tutto pronto, diceva. Allora era il 2016: i giochi di potere sono cambiati, gli anni sono passati, ma ancora di opere in cantiere vediamo solo una timida – e poco significativa – ombra.
Ce lo dimostra un recentissimo report dell’Ance – associazione nazionale costruttori edili – sullo stato di avanzamento del Patto per Catania.
Dei 385 milioni stanziati 4 anni fa per il comune etneo, circa 125 milioni sono stati impegnati per progetti ancora fermi allo studio di fattibilità. 61 milioni, invece, sono stati destinati a opere la cui fase di progettazione è stata conclusa, ma il cui bando per l’assegnazione dei lavori non è ancora stato indetto.
I cantieri attivi sono al momento solo 5, per un valore di circa 5, 6 milioni – meno del 2% della cifra totale. Le opere concluse sono 27: un orto sociale e una pista ciclabile a Librino, interventi in una dozzina di scuole e in alcune strade. La spesa totale ammonta a circa 15 milioni: solo il 4% del totale stanziato.
Tutta colpa della burocrazia?
È da mesi ormai che la propaganda sulla ripartenza cerca di convincerci dei nuovi ed entusiasmanti orizzonti che il decreto semplificazioni porterà dentro i nostri territori. Anche a livello regionale è stato recentemente varato un decreto sburocratizzazione Il problema è la burocrazia, dicono. Basta eliminarla e il gioco è fatto.
Il “modello Genova” viene assurto a perfetto escamotage per risolvere gli inghippi del sistema. Eppure ci si accorge che anche quando la burocrazia non c’è, i lavori vanno comunque a rilento.
Prendiamo l’esempio del futuro ospedale di Siracusa, uno dei pochi progetti che possiedono il “bollino Morandi”. Secondo la forzista Stefania Prestigiacomo, firmataria dell’emendamento al DL Liquidità per l’accelerazione dei lavori sulla struttura, l’ospedale «sarà realizzato entro due anni attraverso l’intervento di un commissario straordinario nominato dal governo nazionale che seguirà procedure snelle e veloci come quelle adottate per la ricostruzione del ponte di Genova».
Ma anche a queste condizioni l’iter non riesce a partite. A rallentare il tutto questa volta è la scelta del commissario. Della serie: qual è il colmo per il commissario straordinario per la velocizzazione dei cantieri? Aspettare che venga nominato. L’emendamento è infatti datato 5 giugno e prevede il commissariamento entro 30 giorni, con nomina del premier Giuseppe Conte «di concerto» con la Regione. Ma Musumeci e Conte non riescono a mettersi d’accordo sul nome. Musumeci vorrebbe l’instancabile Bertolaso (si sarà forse affezionato?), ma Conte ha addirittura dato l’aut-aut: «Volete lui o volete l’ospedale?».
E allora il decreto semplificazioni, il modello Genova e i vari tentativi di sburocratizzazione, non sembrano procedere nella direzione di velocizzare la messa all’opera dei cantieri. Piuttosto, vanno verso una più veloce nomina di commissari straordinari, amici degli amici dei politici, che si ritroveranno a gestire un bel gruzzoletto di denaro. E quando neanche i politici sanno mettersi d’accordo sulle nomine, via con le battaglie a chi l’avrà vinta.
Una nuova aggressione ai territori
C’è poi da chiedersi a che tipo di cantieri apriranno le porte queste procedure. «Cantieriamo tutto!». Possono essere ospedali, certo, ma nulla vieta di sbloccare la costruzione di inceneritori, impianti inquinanti, nuove discariche. A rimetterci, ancora una volta, sono i territori: dietro le retoriche politiche e la patina di speranza che vengono offerte a chi abita zone totalmente abbandonate, si nasconde, per l’ennesima volta, la volontà di fare profitto. Accaparrarsi l’appalto e creare nuove cattedrali nel deserto sembrano essere il passato e il presente della linea politica. La Sicilia non trarrà beneficio da alcun decreto o da alcun modello. Finirà soggiogata dalla lotta per l’accaparramento delle risorse. Una lotta che si combatte sulla pelle dei siciliani.