Scicli contro Eni ed Edison. Inquinano e non pagano i tributi
Eni S.p.a e Edison Exploration & Production – le due multinazionali che da anni, tramite la loro piattaforme offshore, devastano le coste del ragusano – da 4 anni non pagano le tasse spettanti al Comune di Scicli.
Il Comune di Scicli rende noto di aver dato il via agli accertamenti per omessa dichiarazione e omesso versamento dell’Imu e della Tasi per gli anni compresi dal 2016 al 2019 da parte di Eni S.p.a e Edison Exploration & Production.
I debiti col Comune
L’importo complessivo, comprensivo di tributi evasi, sanzioni e interessi, è di oltre 89 milioni di euro: 56 milioni da Eni e 33 milioni da Edison Exploration & Production. Le due società sono infatti proprietarie del complesso immobiliare denominato Vega A, comprendente l’omonima Piattaforma petrolifera marina, un serbatoio di stoccaggio e il relativo sistema di ancoraggio e le Sea Lines di collegamento. Il tutto situato in un territorio che rientra nelle competenze erariali del comune di Scicli.
Il sindaco di Scicli afferma: «Si tratta della prosecuzione di un’azione amministrativa di controllo e recupero di imposte e tributi dovuti che porta avanti quanto già fatto e concretizzato con il pagamento per l’annualità 2015».
«Abbiamo lavorato con grande cura, impegno e serietà – ha aggiunto – per giungere, nonostante le difficoltà organizzative legate alla pandemia, a questo risultato». E avverte Eni ed Edison, come già fatto per il 2015, di versare al Comune di Scicli quanto dovuto anche per gli anni successivi. «Da questo momento scattano i termini previsti dalla legge per il pagamento, trascorsi i quali si attiveranno le procedure cautelari, conservative ed esecutive previste dalla vigente normativa in materia, che verranno curate direttamente dal Comune di Scicli» – conclude.
Le due grandi compagnie hanno dunque evitato di pagare i tributi al Comune per ben 4 anni; e non lo avrebbero fatto neanche nel 2015 – se non fosse stato per le pressioni del Comune.
Le piattaforme di morte
La piattaforma Vega, situata a circa 12 miglia dalla costa tra Scicli e Pozzallo, è la più grande piattaforma petrolifera fissa realizzata nel mare italiano. Vi operano Edison per il 60% ed Eni per il 40%. Come riporta un dossier di Legambiente datato 2019, tra i danni compiuti dalle multinazionali sul territorio, il Ministero dell’Ambiente ha stimato in 69 milioni di euro lo sversamento nel pozzo sterile denominato V6, a 2.800 metri di profondità, tra il 1989 e il 2007, di: 147mila metri cubi di rifiuti petroliferi altamente inquinanti e contenenti metalli pesanti e idrocarburi; 333mila metri cubi di acque di lavaggio della cisterna della nave di stoccaggio di greggio; 14mila metri cubi di acque di sentina.
Diverse criticità emerse in questi anni hanno portato cittadini e associazioni a mobilitarsi per ottenere lo stop alla realizzazione di nuove infrastrutture petrolifere. Nel 2012 Edison ed Eni hanno presentato il progetto di costruzione della piattaforma Vega B e successivamente un’istanza per integrare, con otto pozzi addizionali, quattro precedentemente autorizzati ma mai realizzati. La richiesta delle due società è stata definitivamente bocciata dal ministero dell’Ambiente nel 2019.
Chi paga per i danni ambientali?
Non solo le suddette compagnie inquinano e distruggono interi territori e, in questo caso, i nostri mari, ma si permettono di spadroneggiare, evitando di pagare anche quelle cifre misere che spetterebbero ai Comuni dentro i quali operano. Stiamo parlando di multinazionali che fatturano annualmente miliardi di euro, con ricavi da capogiro fatti a discapito dei territori in cui i loro impianti insistono.
L’Eni, poi, è una multinazionale controllata in parte dallo Stato italiano. Non dovrebbe avere quindi bisogno del pressing delle istituzioni locali – in questo caso del Comune di Scicli – per pagare le imposte dovute. Ma ormai, in Sicilia, abbiamo imparato a conoscere questa multinazionale del petrolio. Sappiamo quanto danno ha arrecato negli ultimi 60 anni e l’atteggiamento predatorio con cui ha impoverito intere comunità. Per questo motivo, le istituzioni locali dovrebbero forse iniziare a pretendere da queste aziende molto di più di quello che già ci spetta di diritto.