Sicilia e crisi idrica: acqua bene di lusso
Il comune di Palermo aveva annunciato che fra pochi giorni vaste zone della città sarebbero state interessate da una turnazione d’emergenza per il razionamento dell’acqua. Il provvedimento preso dall’Amap (azienda pubblica) era giustificato dalla scarsità di riserve idriche dovuto all’assenza di consistenti piogge invernali oltre che dalla riduzione di capacità di uno dei tre principali bacini (Diga Rosamarina) per motivi di sicurezza. L’eccezionale iniziativa – che l’Amap ha appena annunciato essere ancora in “forse” fino a nuova verifica il 12 gennaio – può sembrare la più semplice risposta ad una specifica contingenza climatica (la siccità) ma a guardare bene lo stato del “mercato” dell’adduzione e della distribuzione dell’acqua in Sicilia si capirà bene che non è esattamente così. O, almeno, non sarà questo di Palermo un caso isolato (basti pensare alla crisi messinese di due anni fa) in quanto, per l’acqua come per rifiuti e discariche, le emergenze torneranno (non per motivi strettamente climatici) e saranno una grande occasione di profitto per pochissimi privati. Il perchè è semplice.
L’assessore del governo Crocetta ai Servizi di pubblica utilità, Vania Contraffatto, ha recentemente attaccato chi “si trincera dietro slogan vuoti come quello sull’acqua pubblica”. Lo ha fatto in un contesto d’eccezione: la presentazione del bilancio sostenibile 2015 di “Siciliacque Spa” nello scorso ottobre. Siciliacque è una società partecipata al 25% dalla Regione Sicilia mentre il restante 75% è in mano a Idrosicilia Spa, società temporanea d’impresa quasi interamente controllata da Veolia, colosso globale francese del settore. Questi privati hanno approfittato della crisi idrica del 2002 per farsi vendere a prezzo da saldo le concessioni per l’approvvigionamento dell’acqua in più di mezza Sicilia fino al 2044. Idrosicilia, per esempio, controlla le riserve d’acqua del comprensorio dell’Alcantara. Da queste riserve provarono ad attingere le istituzioni messinesi durante la crisi del 2014 causata dalla mancata manutenzione su una delle principali vie della rete che supporta la città. Provarono ma non riuscirono a causa del prezzo considerato spropositato fatto da Idrosicilia all’amministrazione messinese. Insomma, le emergenze portano occasioni di profitto. Soprattutto quando in una regione come la nostra puoi vantare una sorta di monopolio su prezzi e strutture. Nel 2015, è stato denunciato come queste società acquistassero l’acqua a circa un quarto rispetto alla media nazionale per rivenderla a circa 18 volte ai vari Ato con cui il governo Cuffaro frantumò il servizo idrico regionale. Il risultato per i cittadini siciliani si traduce in bollette più care due o tre volte rispetto alla media nazionale. E con servizi, comunque, sempre più deficitari. Basti pensare alla Girgenti Acqua, società privata che opera nell’agrigentino. O alla Acoset che (oltre a controllare la Girgenti Acque) fornisce il servizio in tutta l’area di Catania. Queste multinazionali dell’acqua stanno, di fatto, facendo della distribuzione dell’acqua un mercato enorme su cui speculare.
Cosa c’entra tutto ciò con i razionamenti che inizieranno a Palermo? Apparentemente nulla. O quasi. La gestione dei servizi idrici non soltanto sta regalando miliardi di fatturato a multinazionali interessate solo al profitto. Ciò avviene con la consueta logica del “massimo guadagno con il minimo sforzo”. Anche la Comunità europea se ne è recentemente accorta. Viene infatti rilevato come i gestori della rete idrica siciliana non svolgano alcuna reale manutenzione sugli impianti e sulla rete stessa. Così in Sicilia si disperde annualmente circa 1/3 dell’acqua disponibile a causa della mancanza di investimenti strutturali. Eppure i siciliani sono comunque costretti a pagare queste enormi quantità di perdita. Così, basta una stagione priva di precipitazioni e si viene a creare l’emergenza. Le multinazionali possono alzare i prezzi grazie al monopolio regalatogli dai politici e le popolazioni sono costrette ad affidarsi al mercato delle autobotti. Con costi incredibili.
L’emergenza è, dunque, sempre motivo di guadagno per pochi sporchi privati. Sia durante che dopo.
E il fatto che ciò accada in una regione che, nel 2011 al referendum proprio sull’acqua pubblica, votò al 98,2% contro la sua privatizzazione, dimostra quanto meschini siano gli interessi di politica e multinazionali.