Il Sud Conta – Intervista a Claudia Urzì

Il Sud Conta – Intervista a Claudia Urzì

Sabato 6 aprile si terrà a Catania la prima assemblea siciliana di Il Sud Conta, rete di comitati meridionali che si oppone all’attuazione del cosiddetto “regionalismo differenziato”, da molti ribattezzato “secessione dei ricchi”. Questi comitati del Sud si oppongono ad una riforma dei rapporti Stato-regioni che trasferirebbe innumerevoli competenze (e risorse) ai vari governatori. In prima fila, si sa, ci sono Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna che hanno già siglato un pre-accordo con l’attuale governo.

Abbiamo deciso di intervistare Claudia Urzì, sindacalista catanese che già da settimane partecipa e organizza la protesta contro tale riforma.

 

Ciao Claudia, intanto raccontaci brevemente la tua storia politica e sindacale.

 

Sono una compagna, una militante. Inizio il mio impegno a 19 anni, concentrandomi sul tema dei migranti. L’impegno più grosso che mi sembra di ricordare è la lotta per la difesa della scuola pubblica statale. Io sono un’insegnante e faccio parte del Comitato Sostegno Catania; dal 2008 iniziano i tagli nel mondo della formazione, soprattutto sugli insegnanti di sostegno: cinquemila in Sicilia e seimila in Campania. Nel 2009 arriva la Gelmini e il primo settembre occupiamo il provveditorato agli studi (l’attuale Ufficio Scolastico Regionale). L’occupazione durerà un anno intero e darà l’avvio all’occupazione di altri provveditorati con assemblee quotidiane per i primi mesi. Faccio parte del coordinamento precari scuola e dopodiché continuo la mia militanza all’interno dell’USB. Faccio parte del Coordinamento nazionale USB pubblico impiego scuola e per la provincia di Catania e per la Regione, della Federazione del sociale che si pone l’obiettivo, delineato nell’ultimo documento congressuale, di ricomporre il blocco sociale, frammentato negli ultimi trent’anni da leggi liberticide sul lavoro che hanno massacrato il mondo del lavoro e di tutte le cittadine e i cittadini. L’obiettivo è dare voce a chi non ha voce e rappresentare chi non ha contratto di lavoro (precari, disoccupati, partite IVA, migranti e badanti). Dentro la Federazione ci sono anche: ASIA USB per il diritto all’abitare, che si occupa di consulenza e anche opposizione fisica a sfratti, sgomberi e occupazioni che vengono fatti per morosità non colpevole; USB pensionati e SLANG che si occupano invece dei diritti relativi ai lavori di nuova generazione (come i riders). Attualmente sono dirigente sindacale.

 

“La secessione dei ricchi” trova in realtà le sue radici in un passato non proprio recente. Prima la riforma costituzionale di Berlusconi nel 2001, poi le trattative avviate da Gentiloni. Quando tu e il tuo sindacato avete iniziato a percepire un “pericolo” in questo processo?

 

Il referendum del Veneto del 2017 sta producendo un iter legislativo che conduce pericolosamente quanto silenziosamente verso la regionalizzazione di servizi essenziali, in primis l’istruzione. Il referendum è stato reso possibile dalla riforma del Titolo V della Costituzione approvata nel 2001 che ha di molto ampliato le competenze delle regioni su materie essenziali come appunto la scuola e la formazione. Nella scuola la secessione arriva da lontano ed è già presente dalla legge sull’Autonomia (Bassanini), approvata nell’assoluto silenzio dei sindacati concertativi, insomma i firmatari di contratto CGIL, CISL e UIL, per capirci meglio. Inoltre va sottolineato il ruolo congiunto che PD e Lega hanno avuto nel passaggio dal federalismo a una vera e propria secessione. Noi come USB abbiamo denunciato da subito che questi progetti di regionalizzazione hanno lo scopo prioritario di mantenere il gettito fiscale all’interno delle regioni ricche del Nord, in assoluta violazione del principio di redistribuzione che trova fondamento nella Costituzione ed è alla base dell’unità nazionale. L’impegno contro la secessione dei ricchi ci ha già visti come USB il 15 febbraio a Roma organizzare il presidio davanti Montecitorio e il 9 marzo a Napoli promuovere l’assemblea nazionale indetta dalla piattaforma Il Sud Conta. Sullo stesso tema a cura di alcune federazioni del sud si sono già svolti incontri dell’USB aperti a delegati, militanti e simpatizzanti.

 

Come nasce Il Sud Conta?

 

Il Sud Conta nasce da movimenti, realtà e associazioni campane, come ad esempio il centro sociale Zero81. È stato fatto un appello contro la regionalizzazione e Il Sud Conta ha partecipato al presidio del 15 febbraio davanti Montecitorio. Noi come USB abbiamo promosso l’assemblea nazionale che si è tenuta il 9 marzo a Napoli, sempre contro la regionalizzazione. Il Sud Conta nasce come un appello ma l’intenzione è quella di farlo diventare una piattaforma politica con la proposta di costruzione di comitati territoriali, capaci di opporsi e chiedere il blocco della ratifica.

 

Cosa pensi dello Statuto autonomo siciliano e dell’accusa di incapacità rivolta dai governatori del Nord verso la politica meridionale?

 

 

Mentre l’Emilia Romagna, la Lombardia e il Veneto si apprestano ad l’autonomia differenziata, lo Statuto speciale dell’Autonomia siciliana, concesso alla Sicilia prima che venisse proclamata la Repubblica, quindi ancora prima dell’emanazione della Carta Costituzionale, è stato tradito. È stato tradito dallo Stato e dalla classe politica siciliana “ascarizzata”, che ha rappresentato i partiti nazionali nell’arcipelago siciliano. È da respingere quindi la tesi che sostiene che tutti i mali strutturali che soffre la Sicilia derivino dal suo Statuto speciale. L’autonomia siciliana di fatto è stata tradita e utilizzata come paravento per sfruttare e offendere le siciliane e i siciliani. Per questo parliamo di autonomia tradita.

 

I governanti del nord sostengono che a maggiore autonomia non corrisponderebbe un cambiamento nella distribuzione delle risorse: sei d’accordo?

 

Assolutamente no perché l’autonomia differenziata che noi abbiamo chiamato, appunto, la “secessione dei ricchi”, concepita dai governi a guida PD e avviata oggi dal governo attuale Lega Cinque Stelle, va bloccata. È un regionalismo che attacca i livelli essenziali di prestazione, i cosiddetti LEP, che sono stati pensati per garantire la coesione sociale, le pari opportunità dei cittadini, la solidarietà tra i diversi territori dello Stato e che invece verranno sostituiti con standard territoriali differenziati. Quindi un processo che sicuramente non rappresenta un percorso verso la valorizzazione dell’autodeterminazione dei territori, bensì l’istituzionalizzazione di disuguaglianze e discriminazioni. In particolare nei confronti dei cittadini e delle cittadine del meridione, della Sardegna e della Sicilia.

 

Quali sono secondo te le materie che più subirebbero trasformazioni se andasse in porto la riforma?

 

Questo iter legislativo che sta conducendo pericolosamente verso la regionalizzazione di servizi essenziali, va a colpire il pubblico impiego, la sanità, la formazione, la ricerca e i trasporti. La scuola pubblica statale e la sanità pubblica, insieme ad altri settori di fondamentale importanza, con la ratifica della regionalizzazione secessionista, subirebbero un ulteriore e pesante attacco verso la privatizzazione e verso le “gabbie salariali”, vecchio progetto leghista. A questo va aggiunto che diventerebbe un attacco pesante al contratto nazionale di lavoro perché si andrebbero a creare dei contratti di secondo livello. Ad esempio, per quanto riguarda gli insegnanti, nelle stesse scuole ci sarebbero sia docenti dipendenti statali, e i neoassunti in capo alla Regione che avrebbero dei contratti di secondo livello che noi pensiamo essere contratti, dato l’andazzo del mondo del lavoro negli ultimi trent’anni, in cui saranno inserite clausole di precarietà, licenziabilità e ricattabilità.

 

 

 

Perché, secondo te, alcuni sindacati e partiti hanno deciso di non opporsi alla riforma pur essendo oppositori dell’attuale governo?

 

I sindacati firmatari di contratto hanno proclamato lo sciopero del comparto scuola, università e ricerca per il 17 maggio, contro la regionalizzazione, nonostante noi di USB avessimo già proclamato lo sciopero dell’intero pubblico impiego per il 10 maggio. Bisogna però vedere che tipologia di sciopero stanno proclamando. Innanzitutto CGIL CISL UIL SNALS e GILDA, che sono i firmatari di un contratto che noi abbiamo rifiutato, un contratto vergognoso che non avremmo mai potuto firmare, sono sigle sindacali che hanno svenduto in ogni occasione e oramai da decenni i lavoratori. Stanno usando questo sciopero in modo strumentale e divisivo. È uno sciopero che ha un’evidente funzione elettorale perché sta tirando la volata al PD per le elezioni europee, quel PD responsabile dello sfascio dello stato sociale, delle condizioni dei lavoratori del pubblico impiego, tanto quanto le forze di destra. Questi sono gli stessi sindacati che sono scesi in piazza il 5 maggio 2015 con uno sciopero che ha portato gran parte del mondo della scuola in piazza, uno sciopero che è stato indetto frettolosamente perché ce n’era già stato uno il 24 aprile, uno sciopero generale indetto anche da noi. Lo sciopero del 5 maggio per opporsi alla Buona Scuola di Renzi e che aveva minacciato un ‘Vietnam’ per l’autunno successivo che invece si è trasformato nel lungo inverno della scuola pubblica statale. Perché è vero che questi sindacati sono scesi in piazza tutti uniti e hanno portato la maggior parte dei lavoratori della scuola in piazza, ma non hanno fatto più niente. L’opposizione alla Buona Scuola è stata fatta dai sindacati conflittuali e dal movimento studentesco. Ricordiamoci che l’Emilia Romagna, una delle tre regioni firmatarie della pre-intesa per l’autonomia differenziata assieme a Veneto e Lombardia, è governata dal PD. Lo stesso partito che ha fortemente voluto la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001. Quindi l’opposizione che in questo momento c’è in campo è un’opposizione vuota, fittizia che non porta da nessuna parte. Anche questi sindacati che hanno indetto lo sciopero per il 17 maggio di fatto non hanno reali obiettivi comuni e da parte loro non c’è mai stata una voce di contrasto verso tutti quelli che sono stati i presupposti all’autonomia differenziata che, come dicevo, arriva da lontano e che nella scuola esiste dai tempi di Bassanini.

 

Cosa ti aspetti dall’assemblea di sabato? E cosa pensi si debba fare per bloccare la riforma?

 

Quella di sabato è l’assemblea delle siciliane e dei siciliani per la costituzione dei comitati territoriali contro l’autonomia differenziata. I comitati territoriali che Il Sud Conta lancia con questa assemblea, vogliono essere uno strumento di lotta per dare voce nei singoli territori siciliani alle comunità. Ognuna con le proprie specificità territoriali, culturali e sociali, contro l’autonomia differenziata chiedendone il blocco della ratifica.

 

Se dovessi lanciare un appello in due battute, cosa diresti ai siciliani per convincerli ad opporsi?

 

Oggi in Sicilia è indispensabile unire le nostre voci e le nostre forze ognuno con le proprie specificità. Opponiamoci contro l’autonomia differenziata, chiediamone il blocco della ratifica perché come abbiamo scritto, c’è una Sicilia che si ribella e vogliamo essere questa Sicilia. Il Sud non si sfrutta e non si svuota perché il Sud Conta. E ricordiamoci che la ricchezza del Nord è stata costruita anche e soprattutto da lavoratori emigrati da Sud.

 

Jemu Avanti!

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