Per la riapertura dell’Ospedale Cutroni Zodda e non solo
La mattina del 2 Dicembre gli abitanti di Barcellona Pozzo di Gotto (ME) e dei comuni limitrofi hanno risposto all’appello lanciato dal Comitato Civico Spontaneo e sono scesi in piazza per chiedere la riapertura dell’Ospedale Cutroni Zodda.
In migliaia si sono mossi, alle 10.00 circa, da piazza San Sebastiano (Duomo) percorrendo le vie cittadine fino ad arrivare proprio davanti l’ospedale. Studenti di tutte le età, parrocchie, associazioni, sindacati, hanno letteralmente inondato il paese, sfilando dietro uno striscione di testa che recitava : «Ridateci l’ospedale Cutroni Zodda».
L’eterno Covid Hospital
Dall’avvento della pandemia a oggi il nosocomio è rimasto ospedale Covid e lo rimarrà fino al 31 dicembre prossimo. Ridotto nei reparti, nei servizi e nell’ accessibilità, l’ospedale di Barcellona Pozzo di Gotto è stato privato del pronto soccorso e del servizio di emergenza-urgenza. Proprio queste criticità, combinate con il progressivo e generale smantellamento della struttura, hanno fatto scattare l’allarme e la mobilitazione.
La tensione, infatti, è salita sempre più col trascorrere dei mesi visto che l’unico pronto soccorso attivo in zona è quello dell’Ospedale di Milazzo che si ritrova a gestire un utenza di circa 200 mila abitanti. Come emerso dai numerosi interventi in piazza, nei fatti Barcellona è vittima, come tanti altri comuni siciliani, di un attacco alla salute mosso negli anni dai governi nazionali e regionali. Per queste ragioni i cittadini chiedono adesso che l’Ospedale di Barcellona venga «riaperto con tutti i reparti previsti per gli Ospedali di base, fermo restando la necessità di avere tutta una serie di strutture sanitarie intermedie e di prossimità che possano tra le altre cose allentare la pressione sul pronto soccorso».
L’urgenza di cambiare rotta
Per arrivare a questo risultato però servirebbe un cambio di rotta drastico nelle politiche sanitarie – più finanziamenti e messa in discussione del rapporto con la sanità privata – che non sembra arrivare dalle istituzioni regionali e nazionali, che nei fatti producono politiche sanitarie che hanno come obiettivo quello di moltiplicare il modello Lombardia. La sanità, definanziata progressivamente, sembra sempre più lontana dal rispondere alle esigenze dei territori e continua invece la cavalcata verso il privato. La dismissione dei piccoli ospedali e la centralizzazione in grandi strutture – assieme al vuoto assoluto della medicina territoriale – nei fatti allontana la possibilità della cura a beneficio di un supposto “efficientamento” delle risorse e del personale. Nessuno però è così ingenuo dal credere a questa favola.
Quale ruolo per i comitati?
Le questioni che si pongono sul tema della tutela della salute in Sicilia sono sempre di più e sempre più urgenti. Sordi e ciechi, i governi regionali e nazionali hanno dimostrato chiaramente che per loro la salute è solo faccenda di bilanci, di affari, di spartizioni. Per questo motivo i comitati possono organizzare le mobilitazioni, battersi per stare ai tavoli tecnici, sorvegliare l’operato, pretendere che gli abitanti partecipino attivamente ai processi decisionali, ma difficilmente riusciranno a strappare allo Stato le risorse necessarie alle comunità di riferimento. E allora insieme alle mobilitazioni, alle raccolte firme e ai tavoli tecnici, si deve ragionare su come far diventare essi stessi istituzioni che si occupino attivamente di salute, organizzando la solidarietà, la cura e la capacità di cooperazione per immaginare la sanità territoriale di prossimità di cui le comunità hanno bisogno.