Viva u Patriarca San Giuseppe!

Viva u Patriarca San Giuseppe!

Quella della festività di San Giuseppe, celebrata il 19 Marzo, è un’altra tradizione siciliana che continua a resistere ai mutevoli cambiamenti della società moderna restando espressione di valori che contraddistinguono la nostra isola: senso di condivisione e di ospitalità.

In questa celebrazione le varie sfaccettature della vita comunitaria, dai simbolismi cattolici ai rituali popolari, si intrecciano. È la comunità stessa a prodigarsi nel conservare la tradizione, essendo essa valore essenziale della sua identità, e dunque considerata bene prezioso da tramandare di generazione in generazione.

San Giuseppe: tra rituali sacri e popolari.

In Sicilia la festa di San Giuseppe si presenta come un sistema di elementi rituali espletati in diversi momenti nel corso dell’anno.

Dall’accensione di fuochi, chiamati vampi, luminari, pagghiara, alle questue, individuali o collettive, di denaro, grano, legumi e cibi vari, fino alla vendita all’asta dei beni questuati; dal banchetto, denominato cena, tavula, artari, virgineddi, vicchiareddi, offerto alla Sacra Famiglia, alla processione con il simulacro del Santo, fino alla sacra rappresentazione della Fuga in Egitto.
Tale quadro rituale, conferma una lettura del ciclo di San Giuseppe quale complesso festivo che ha origine in antichi riti agrari di propiziazione.
L’iterata presenza di questue alimentari, i falò accesi onore del Santo la vigilia del 19 marzo, le tavole sontuosamente allestite, richiamano arcaiche forme di propiziazione della fertilità della terra ampiamente documentate nelle culture e nelle società antiche.
Abbondanza e varietà caratterizzano le tavolate, allestite con primizie di frutta e ortaggi, legumi e cereali, dolci e pani finemente intagliati in figure zoomorfe, fitomorfe e antropomorfe. Si tratta di un rituale in cui rinascita della vita e culto dei morti sono strettamente connessi.
Da qui le figure antropomorfe di alcuni pani, chiamati pupi, pupiddi, oppure a manu e a varva del Santo, la presenza delle fave, simbolo dei defunti, e naturalmente delle primizie, che negli antichi culti erano offerte ai morti per ottenerne la benevolenza (cfr. Giallombardo 1981: 7-9).
Il consumo delle pietanze socializzato e la loro distribuzione comunitaria, così come le questue realizzate individualmente o dalle confraternite e comitati del Santo, in chiara contrapposizione ai concetti di accumulazione, ostentazione e consumo scellerato di beni, sono esplicitazione di sentimenti di coesione e appartenenza comunitaria. Sentimenti che nella cultura siciliana sono evidentemente ancora di centrale importanza.

I Luoghi.

In ogni angolo della nostra isola, la giornata del 19 Marzo si riempie di banchetti e si illumina a festa. Riportiamo di seguito alcuni esempi.

A Ribera (Ag), si usa raccogliere rami di alloro per rivestire la Stragula, una torre di legno alta circa una decina di metri, collocata sopra un grande carro e decorata da forme di grandi pani chiamate Cudduri, legati tra loro per mezzo di cordicelle. La Stragula, trainata da due buoi, rappresenta, secondo la tradizione popolare, l’abbondanza e la gloria del santo patriarca mediante alcuni elementi carichi di valore simbolico, quali il pane e i rami di alloro.

A Villalba (Cl), in passato, i monaci erano soliti, oltre a celebrare la messa, recarsi a assistere i contadini che portavano in offerta al santo il frutto del loro lavoro. Oggi invece si allestiscono le Tavolate dei vecchiarelli, allestite con delizie di ogni sorta e forme di pane recanti i simboli dell’amato San Giuseppe.

A Palazzo Adriano (Ct), il 19 marzo le famiglie che hanno ricevuto la grazia imbandiscono tavolate con diverse pietanze: cardi e broccoli in pastella, barbabecchi, asparagi e finocchi di montagna, dolci tipici come la pignolata e le sfingi. I commensali principali sono tre e rappresentano la Sacra Famiglia, ai quali il padrone di casa serve le vivande della tavola.

A Enna, il 18 marzo è la giornata delle Verginelle di San Giuseppe. 19 ragazze, preferibilmente nubili e appartenenti a famiglie non ricche, vengono invitate da una famiglia benestante a trascorrere la giornata tra canti religiosi e preghiere, a partecipare alla messa nella Chiesa di San Giuseppe e a pranzare insieme.

A Castel di Lucio (Me), il 19 marzo le famiglie che hanno fatto voto per grazia ricevuta, organizzano il pranzo de Virgineddi. Sulla tavola addobbata viene collocata un’immagine del santo e gli si riserva un posto, che ovviamente rimane vuoto. Il menù del pranzo prevede pasta e legumi, baccalà, cardi selvatici fritti, finocchietti selvatici bolliti e arance.

A Roccapalumba (Pa), l’8 marzo avviene la Processione della statuetta del Bambino Gesù accompagnato dalle luminarie di tuorce, fanari e dalla banda musicale, con accensione dei falò nei crocicchi principali del paese. Intorno alle 22 festeggiamenti attorno ai falò con vino, salsiccia, carciofi,e porri alla brace. Il 19 pranzo dei virgineddi con la Sacra Famiglia.

Ad Acate (Rg), tradizione vuole che chi ha ottenuto una grazia o spera nella intercessione del Santo prepari il pranzo sacro che viene offerto alla Sacra Famiglia. San Giuseppe, infatti, oltre ad essere il protettore degli orfani e delle ragazze nubili, è anche protettore dei poveri. Il banchetto viene chiamato avutaru o patriarca. Anticamente veniva preparato nei cortili o nella piazza del paese; oggi, invece, dentro le case. Gli invitati, rappresentanti i santi, pranzeranno su una struttura in legno, base di un grande tavolo, con sopra, innalzati a gradini, delle tavole. Sull’altare ricoperto da lenzuola bianche ricamate troneggia al centro posto un grande quadro che raffigura la Sacra Famiglia: a Madonna, u Bamminu e u Patriarca.

A Rosolini (Sr), la devozione a San Giuseppe si manifesta con la tradizionale cavalcata che vede le strade del paese transennate per permettere il passaggio dei cavalieri, che montano cavalli sfarzosamente bardati; nel pomeriggio, invece, dopo la funzione religiosa, il simulacro del santo viene portato in processione sotto una pioggia di volantini su cui è scritto <<Viva San Giuseppe>>.

A Vita (Tp) i protagonisti dell’artaru, che rappresentano la Sacra Famiglia, a volte con l’aggiunta di Sant’Anna e San Gioacchino, vengono chimati virgineddi o santi e scelti fra le persone meno abbienti del paese. Per loro è preparata una cena sontuosa composta da tante pietanze tipiche del posto come la pasta con finocchietti, salsa di pomodoro e pan grattato tostato, oltre alle altre bontà tipiche delle Tavolate.

I cibi.

In questa particolare festa della tradizione popolare siciliana, protagonista assoluto è il pane. Esso viene preparato dai panificatori locali con farina di grano duro, lavorato a mano e modellato in diverse forme rappresentanti gli attrezzi del falegname (la sega, il martello, la scala), l’ostensorio, gli angeli adoranti, l’uva, l’asinello, la varva del santo. Infine, il pane viene rifinito con una spennellata d’uovo e una pioggia di paparina (semi di papavero) e messo in forno. Altre forme di pane, di dimensioni minori rispetto a quelle che vengono sistemate sulla tavola, sono i Pupiddi ri San Giuseppe. Questi vengono distribuiti sia nelle Tavolate dei devoti che in chiesa dove viene allestita la Tavolata principale. Tra ogni forma di pane e in mezzo ai piatti vengono posti, in maniera ornamentale, arance, lattuga, sedano e finocchi.

Dulcis in fundo, le delizie tipiche della festa che allietano i palati di tutti i siciliani sono le buonissime sfingi, le tradizionali frittelle spolverate di zucchero. Il termine sembri derivare dall’arabo isfang o sfang o dal termine latino spongia, con il significato di spugna.

Sicuramente il periodo di quarantena che stiamo vivendo ci impedisce di recarci in pasticceria e comprarli, ma può diventare occasione di riscoperta delle tradizioni e di condivisione di momenti in famiglia, cimentandosi nell’arte pasticcera in casa.

Di seguito vi riportiamo una ricetta a prova di nonna.

Le Sfinci di San Giuseppe.

Ingredienti per circa una ventina:

  • 200 g di farina 00
  • 250 ml di acqua
  • 4 uova
  • 60 g di margarina (o strutto)
  • 3 g di sale
  • un pizzico di bicarbonato
  • Abbondante olio di semi abbondante per friggere (in origine si usava lo strutto)

Ingredienti per la crema di ricotta:

  • 600 g di ricotta
  • 200 g di zucchero
  • 50 g di cioccolata fondente (a gocce)
  • 100 grammi di zuccata
  • scorze d’arancia o ciliegie candite q.b.
  • granella di pistacchi q.b.

Preparazione:

1.Mettete nell’acqua la margarina, il sale e fate bollire. Incorporate la farina e mescolate continuamente sino a quando la pasta non sarà diventata dura (deve farvi male il braccio, sennò l’impasto non sarò pronto!).

2.Dopo aver fatto raffreddare il composto, stendetelo e ristendetelo con il mattarello. A questo punto formate con la pasta un unico corpo e unite 2 delle 4 uova, uno per volta e solo quando il precedente è stato assorbito dalla pasta. Aggiungete un pizzico di bicarbonato e, infine, le ultime due uova con lo stesso procedimento di prima.

3.Prendete il composto a cucchiaiate non troppo grandi e adagiatelo nell’olio caldo; fate cuocere per circa venti minuti, immergendole continuamente, fino a quando saranno ben dorate.

4.Man mano che le sfinci saranno pronte, mettetele a sgocciolare su carta assorbente e fatele raffreddare.

5.Preparate la crema di ricotta, a cui aggiungerete a piacimento il cioccolato e la zuccata a pezzetti, amalgamando bene il tutto. Fatto ciò, praticate un foro e riempitele di crema di ricotta, che spalmerete anche all’esterno.

6.Decoratele con granella di pistacchi, scorze d’arancia e ciliegie candite.

Buona festa di San Giuseppe a tutti!

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